Recensione: Condemnation

Di Andrea Poletti - 15 Dicembre 2016 - 11:11
Condemnation
Band: Antaeus
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Un’esorcismo, la peste, l’intransigenza e satana sotto forma sonora; il caprino non tanto quanto padrone del gene satanico ma visto sotto un aspetto più purificatore e liberatorio. La riscoperta del male necessario entro ognuno di noi per andare incontro con uno schianto estremo entro quel nero che delinea il sentiero del vuoto trascorrere; “Condemnation” è il cartello di divieto per i benpensanti, per i bigotti e chi cerca serenità attraverso facili costumi. Gli Antaeus sono necessari ai mediocri per ricordarsi quanto siano inutili al genere del black moderno, necessitiamo della loro esistenza qua, ora, oggi per proclamare a voce alta “noi siamo migliori di voi”. Dieci anni di silenzio, dieci anni in cui come accade spesso per le band del underground non vi sono molti proclami, ne tantomeno webepisode e pubblicità assurda su riviste e internet; l’attitudine è la medesima: un dito medio elitario. Dal 2006, dal precedente “Blood Bibles”, la formazione è stata drasticamente mutilata, vuoi per disgrazie quali la morte del bassista LSK nel 2013, vuoi per il doppio addio di Servus alla chitarra e Zym alla batteria, ma tutto scorre ed oggi gli Antaeus sono rimasti in tre, dove ai due capisaldi MkM e Set alle pelli si è aggiunto Menthir, ma come in ogni bella famiglia, il lupo perde il pelo ma non il vizio. E’ questo il miglior black metal disponibile sulla piazza? No però tira come un capretto purosangue e merita ogni singolo ascolto, merita l’acquisto con il packaging curato e l’artwork di Metastasiz; “Condemnation” è utile, necessario e superiore al 90% della melma la fuori. 

La differenza più sostanziale rispetto al passato è l’introduzione di qualche leggero rallentamento lungo alcuni brani, non v’è quella costante martellata del passato con quel frenetico blastbeat; non v’è una corsa forsennata alla violenza vera e propria, ma piuttosto una leggera differenza intrapresa attraverso una ricerca di un suono più dinamico e coerente alla proposta musicale in essere. Uno degli esempi lampanti di tutta questa ricerca è riscontrabile con ‘Flesh Ritual’ che nei suoi otto minuti riesce a rimanere attiva e vivida in ogni attimo, la flessione da 2:36 a 3:40 che regna suprema sugli inferi musicali è un tocco di classe. Tutto questo è percepibile ancora di più nelle ultime tre composizioni, ma ci arriviamo tra poco. La scuola francese la si riconosce in pochi istanti, la matrice compositiva è indelebile e questo porta nel bene o nel male a ritrovare qualche omologazione del comparto stilistico, ma alla base, ciò che distingue gli Antaeus dai restanti gruppi d’etile d’oltralpe, è insito nella loro attitudine. Non v’è assolutamente la voglia e la necessità di creare l’album che rivoluzioni il black metal, è semplicemente coerente al loro essere e ripropongono il proprio stile oramai arcinoto agli estimatori, che seppur leggermente rivisitato è ad oggi ancora più brutale. ‘Angels of Despair’, ‘Watchers’ e la ‘Titletrack’ sono cazzotti in faccia senza chiedere permesso, potenza e decisione sino al midollo, prima che verso il finale le ultime tre canzoni ci dimostrino definitivamente l’anima più cupa e “progressiva” degli Antaeus A.D. 2016. Non sono concepimenti radicali, non stravolgono la struttura dell’intero disco, ma portano quelle sfumature più mature e ricercate che diventano il dettaglio che fa la differenza. ‘Symmetry of Strangers’ ribadisce la logica di ‘Flesh Ritual’, ovvero un grande stacco centrale ancora più lento e catatonico prima del fulmine a ciel sereno ed il buio completo; ‘End of Days’ a 1:54 prende sfumature ritualistiche, si tramuta in preghiera con voci dal profondo, sospiri e allucinazioni prima chiudersi nuovamente tra le visioni dei morti nelle nebbie spettrali. ‘Abeyance’ in conclusione ha il groove del mid-tempo, che nel suo crescendo, porta in dono la mazzata finale come il risveglio della bestia dalle ceneri che divora dentro senza via di scampo. Non un calo di tensione, non un difetto se no quello che finisce dopo soli quarantuno minuti, nessun problema irrisolvibile poichè il male risorge premendo nuovamente play.

Condemnation” è black metal nel senso più stretto del termine come attitudine, come voglia di infierire sull’ascoltatore e quanto a pesantezza di intenti. Non vi è una rivoluzione del comparto stilistico ma una rivisitazione che porta la solita dose di intolleranza e menefreghismo come piace da sempre agli estimatori del suono grezzo e verrtiginoso; gli Antaeus sono tornati e riconfermano la superiorità attraverso otto brani che succhiano il sangue e l’anima. Quell’aurea stanica che avvolge l’intero album quale libertà compositiva e spirituale, non serve molto altro, se non sottolineare come in ambito black questo disco siede sul trono dei vincitori per l’intera annata in corso.

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