Recensione: Conspiracy in Mind

Di Riccardo Angelini - 25 Aprile 2005 - 0:00
Conspiracy in Mind
Band: Communic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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65

Esordio ufficiale per il trio norvegese Communic, nato dalle ceneri degli Ingermanland. Già autore di un interessante demo che si era conquistato la fiducia niente meno che della Nuclear Blast, il gruppo tenta ora la fortuna con un full-lenght che desta non poca curiosità.
Non poca è anche la confusione che turbina attorno alla proposta musicale dei tre scandinavi: un genere definito come prog-power-thrash (!?) con tanto di paventate influenze da band del calibro di Dream Theater, Psychotic Waltz, Candlemass, In Flames, Soilwork e Nevermore. Se nel leggere questa sfilza di nomi celebri qualcuno di voi ha sollevato uno scettico sopracciglio, ha tutta la mia comprensione. Di fronte a una descrizione del genere, è perfettamente lecito aspettarsi un’eccessiva generosità nel citazionismo o, peggio, una corrispondenza col vero, con relativo album-pastone reso indigesto da un miscuglio di ingredienti malamente assortiti. Bastano tuttavia pochi ascolti per rendersi conto che (fortunatamente) è la prima ipotesi a rivelarsi corretta. Per collocare musicalmente le coordinate stilistiche di questi tre ragazzi, infatti, si può cominciare depennando senza troppe cerimonie il genere “power” dal loro ambito di competenza. Quanto alla lista delle influenze, c’è da chiedersi quando esattamente si dovrebbero sentire sonorità vicine ai Dream Theater – a meno che questi non vengano ormai citati estensivamente come sinonimo di prog-metal – o ai Candlemass, del cui doom epico, sforzandosi, si percepisce a stento l’alito. E a rispolverare dagli inizi le discografie di In Flames e Soilwork, si potrebbe al massimo e non senza grande generosità definire il contributo dei due colossi svedesi come “marginale”. Che cosa rimane? I Nevermore, loro sì, e un thrash cupo e d’atmosfera, contaminato da diffuse influenze prog vicine, altro nome azzeccato, alla proposta che già fu dei bravi Psychotic Waltz. Sonorità prog, va detto, che a tratti prendono il sopravvento e rendono il sound della band un ibrido a cavallo tra i due stili. Al di là dell’insolito connubio, tuttavia, le innovazioni sono poche. Chi dunque si aspettava una ventata di originalità potrebbe rimanere deluso, ma non per questo la fatica dei Communic merita di essere accantonata senza un esame più accurato.
Veniamo alle canzoni. Sette brani dal suono limpido e cristallino, com’era lecito aspettarsi, eseguiti con lodevole perizia e dalla durata decisamente alta: si va dai 6.44 della breve (si fa per dire) Ocean Bed ai quasi undici minuti della suite conclusiva Silence Surrounds. Il sospetto di un album piuttosto laborioso e ostico da digerire si fa concreto con le note della title track, cui è affidato il compito di aprire le danze. La traccia si configura come la più potente del disco, con le decise chitarre di Stensland che partono mettendo subito sotto torchio un riff oscuro e pesante, col valido supporto di una sezione ritmica serrata e piacevolmente varia. La melodia fa breccia per qualche decina di secondi nell’azzeccato break centrale, preludio di quello che diventerà presto il punto focale dell’album. Già con la seguente Hystory Reversed, infatti, i toni si fanno più malinconici e nostalgici: le chitarre dipingono armonie dalle tinte fosche che fanno da filo conduttore tra momenti riflessivi, quasi pacati, e altri più cupi ed enfatici.
Di qui in avanti cambierà la scelta dei suoni, ma il motivo di fondo rimane lo stesso, con la sola eccezione forse della buona Communication Sublime, in cui torna alla ribalta il thrash prepotente già incontrato in apertura di disco. Per il resto largo spazio alle atmosfere inquiete e melanconiche di cui si è detto, che raggiungono uno dei picchi nell’ipnotica Ocean Bed. Un brano affascinante ed eterogeneo seppur in linea con lo stile della band, che nella seconda metà esprime al meglio il proprio potenziale e che vuole essere riascoltato più volte per poterne cogliere appieno l’essenza.
Tra alti e bassi, quando dopo un’oretta scarsa lo stereo restituisce il disco, giunge il momento di tirare le somme. Conspiracy in Mind non è un album dei più immediati, lo si sarà capito, sia per la scelta dei suoni sia per la corposità dei singoli brani: un ascolto frettoloso potrebbe portare ad accantonare rapidamente quest’uscita, soprattutto se affrontata con le premesse sbagliate. Bisogna certo tener presente i punti deboli, principalmente l’eccessiva prolissità di alcuni brani e la derivazioni sonore che fomentano in qualche circostanza la spiacevole sensazione di già sentito. Se a questi si va ad aggiungere il già citato difetto di immediatezza, benché questo non costituisca necessariamente un difetto in sé (anzi!), si capisce come la fruibilità del disco ai primi ascolti non sia particolarmente elevata. Ma non bisogna dimenticare neppure i pregi, che emergono poco alla volta, ascolto dopo ascolto, e che fanno capire che oltre alla tecnica qui c’è anche una costante ricerca di sonorità raffinate e di classe, ricerca che a tratti offre frutti saporiti e succosi, e che in futuro potrebbe produrne anche di più maturi. Senza dubbio sarà necessario snellire maggiormente certe strutture e liberarsi dal peso di influenze talvolta invadenti, ma le premesse non sono affatto male. In sintesi, si può dire che questi tre norvegesi si siano trovati un tema interessante e l’abbiano comunicato bene, peccato che altri in passato l’avessero espresso ancora meglio. Con simili mezzi tuttavia sarà senza dubbio interessante ascoltarli nuovamente, quando troveranno qualcosa di originale e più personale da dire.

Tracklist:
1. Conspiracy in Mind
2. History Reversed
3. They Feed on Our Fear
4. Communication Sublime
5. The Distance
6. Ocean Bed
7. Silence Sorrounds

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