Recensione: Craving

Di Fabio Vellata - 20 Aprile 2018 - 0:01
Craving
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2018
Nazione:
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74

Un artista che, davvero, non ha bisogno di presentazioni.
Per una volta l’introduzione banalissima e stereotipata che abbiamo sentito utilizzare in migliaia di occasioni in altrettanti programmi, articoli o recensioni, ha un senso realmente compiuto.
A patto, ovviamente, d’avere un minimo d’esperienza in questioni inerenti l’hard rock / AOR o, per lo meno, possedere una certa familiarità con un nome imprescindibile e fondamentale per l’intero settore come quello degli House of Lords.

James Christian, frontman di rango, songwriter di classe ed eccelso interprete può essere annoverato, in effetti, tra i vertici assoluti del genere, in virtù di una carriera ricca di successi e proseliti, maturati essenzialmente per merito della band madre – gli House of Lords, per l’appunto – e riverberati, di tanto in tanto, in qualche uscita solista nella quale riversare il lato più “sensibile”, intimista e “morbido” delle proprie ispirazioni artistiche.
“Craving” è il quarto capitolo in solitaria del prolifico showman statunitense, seguito del buon “Lay it all on Me” del 2013 di cui può essere considerato con sensata pertinenza una sorta di fratello “gemello”, con tutti i pregi ed i difetti che questo può recare con sé.

Proprio come il precedente disco d’inediti, infatti, aspetti positivi e negativi si sovrappongono quasi uniformemente, mettendo in mostra l’innata maestria di Christian nell’amministrare melodie di facile presa, costruire canzoni piacevoli capaci d’offrire ancora una volta un senso al termine “AOR” e garantire una prestazione vocale di sostanza e qualità.
Di contro, proprio come accaduto per “Lay it all on Me”, ecco però comparire qualche filler di troppo a rendere meno performante il risultato finale e, soprattutto, ecco la consueta produzione di scarso profilo, priva di profondità, asettica, fredda e quasi “scivolosa”. In buona sostanza, per nulla adatta nel conferire quel “quid” in più di personalità aggiunta tale da rendere i pezzi davvero brillanti e corposi come si converrebbe ad un disco melodic rock d’altro livello.

Il motivo per cui il buon Christian prediliga, spesso, soluzioni così limitanti ed impersonali rimane un mistero imperscrutabile, oltre che un peccato, giacché molte delle canzoni contenute in “Craving” appaiono tutt’altro che dozzinali o di bassa qualità. In alcuni frangenti l’efficacia del concetto di AOR intavolato dall’eminente mastermind americano è ancora fresco e vivido, ricco di suggestioni e buone idee.
Prova ne siano brani come “Wild Boys”, “I Won’t Cry”, “Craving” (notevole la presenza di Cliff Magness in veste di guest star) e “If There’s a God”: lo stile ed il modo espressivo elegante, lieve e raffinato che da sempre ne contraddistinguono l’abilità compositiva risaltano ancora incontaminati e limpidi, testimoni della statura di quello che ancor oggi può essere definito un maestro del genere.

Meno intelligibile invece, l’affidarsi a passaggi che appaiono mere “canzonette” piuttosto che pezzi davvero incisivi come sarebbe nelle corde di un artista simile: l’iniziale “Heaven is a Place in Hell”, giusto per citarne una, non convince anzitutto per un arrangiamento dimesso e quasi “provvisorio”, per sconfinare poi in una linea melodica piuttosto banale e “sempliciotta”.

Fatti i dovuti conti, un album in definitiva piacevole che però non “suona” come dovrebbe, farcito di molte buone canzoni ma pure di qualche colpo a vuoto foriero di alcuni sbadigli.

Come già riferito in apertura, un qualcosa che ci sembra di poter accomunare con decisione alla precedente uscita di James Christian solista. 

Riassunto in un’unica sentenza: disco niente male, ma non proprio privo di difetti.

 

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