Recensione: Crossing Over

Di Riccardo Angelini - 12 Settembre 2007 - 0:00
Crossing Over
Band: P:O:B
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

È finalmente il momento dell’esordio per gli scandinavi P:O:B, che già avevano saputo segnalarsi alla critica con un paio di EP più che promettenti – Circles of Butterflies (2002) e The Second Monologue (2005) – pubblicati sotto il monicker Pedestrians of Blue. Con sei brani di qualità cristallina già pronti ai nastri di partenza ormai da qualche anno, la formazione norvegese non ha dovuto far altro (detta così sembra facile) che raddoppiare la quantità della proposta mantenendo costante la qualità. E la missione si è conclusa con un successo travolgente.

 

Di certo la gestazione è stata lunga e laboriosa: sono stati necessari più di cinque anni al combo di  Haugesund per il completamento dell’opera, e il risultato finale prova senza possibilità di errore che il prolungato sforzo non è stato vano. Freschi e vitali, i brani si avvicendano in una tracklist moderna nei suoni e tradizionale nello stile, apparentemente incapace di abbandonarsi a colpi a vuoto nella sua elegante cavalcata tra hard prog e rock melodico. Non mancano rapide puntate in territorio AOR, pomp o persino heavy: l’unica costante è la qualità dei brani. Potrete poi chiamare in causa i nomi illustri di Toto e Queenrÿche, così come i Black Sabbath degli anni ottanta o i Dream Theater degli esordi: al di fuori di ogni possibile raffronto i P:O:B dimostrano estro, carisma, attitudine e, soprattutto, personalità.

È dunque con un piacevole imbarazzo che ci si ritrova preda dell’indecisione al momento di eleggere i brani meglio riusciti. Ovunque si gettino le reti, la pesca è sempre egualmente ricca: si tratti della frizzante “The Line”, esplosiva miscela di prog-pomp d’altri tempi, o della ballad “How Much More Than A Dream”, in cui par quasi di sentir gli echi degli Shadow Gallery più romantici, o ancora del ruffianissimo singolo “Promises”, che in madrepatria già riscuote ampi consensi sulle radio locali. E così via: a lungo andare si finirebbe per citare ogni singole pezzo, anche se ci si volesse limitare all’eredità dei pregressi EP. “Father & Son”, “The Garden”, “Where The Rain Falls”, “World of Things”, “Out of the Rain” sono tutte potenziali hit, pezzi di raro pregio che già da soli varrebbero l’acquisto dell’intero album.

Ciliegina sulla torta il lavoro in fase di missaggio da parte di Daniel Flores (Mind’s Eye) e il mastering di Mika Jussila (Nightwish, Masterplan). Grazie al loro supporto la band riesce a valorizzare al meglio il sound delle chitarre – potenti e moderne – e soprattutto della batteria, in passato penalizzata da suoni non del tutto all’altezza.

 

Era un bel pezzo che non mi capitava di porgere orecchio a un disco d’esordio di tale fattura. Conservavo un buon ricordo di “The Second Monologue” e di certo mi aspettavo grandi cose da parte dei P:O:B. Non solo la band non ha tradito le aspettative ma addirittura le ha superate, proiettandosi fin da subito a fianco dei numi tutelari del genere. Bisognerà aspettare qualche tempo per capire se quella che abbiamo davanti sia una meteora come tante o se già ci si possa preparare ad accogliere una nuova stella nel firmamento del rock: sta di fatto che un disco così oggigiorno riesce con fatica anche ai veterani. Sul futuro possiamo allora essere ottimisti. Del presente, entusiasti.

 

Riccardo Angelini

 

Tracklist:

1. Father & Son

2. Promises

3. The Garden

4. Where the Rain Falls

5. Crossing Over

6. The Line

7. World of Things

8. The Other Side

9. How Much More Than a Dream

10. The Altar of Love

11. Why

12. Out of the Rain

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