Recensione: Cruelty and the Beast

Di Alessandro Calvi - 11 Dicembre 2003 - 0:00
Cruelty and the Beast
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
85

Terzo studio album per i Cradle of Filth dopo The Principle of Evil Made Flesh, Dusk and Her Embrace e il mini VEmpire or Dark Faerytales in Phallustiem.
Spesso il terzo album di una band è legato a una sua definitiva consacrazione oppure a una sua ricaduta nel limbo dei gruppi promessa che non hanno mantenuto le aspettative. Sinceramente credo che la consacrazione dei Cradle of Filth sia giunta ben prima di questo album, non solo perchè a conti fatti è la quarta pubblicazione, se consideriamo anche il mini, ma sopratutto perchè dopo un inizio che conteneva in embrione tutte le caratteristiche tipiche del loro suond la band inglese ha sfornato un album come Dusk and Her Embrace che ha nettamente mostrato una sorta di nuova strada. Nel bene e nel male è innegabile che i vampiri inglesi si siano distinti all’interno dell’intero panorama metal creando quasi un nuovo genere di cui loro erano portavoci diventando gli inventori di un sound nuovo e personalissimo.

Come sempre l’album del combo inglese si apre con una breve intro strumentale sinfonica in cui si respira aria di film dell’orrore, decadenti chiese sconsacrate e cimiteri al chiaro di luna. Si tratta come sempre solo di un preambolo che fa da proscenio alla prima vera canzone del disco, trattasi di Thirteen Autumns and a Widow. I Cradle partono subito forte con un brano tirato e veloce, batteria martellante, chitarre che ronzano e le tastiere a disegnare le classiche sinfonie di sottofondo. La durata è di oltre sette minuti e infatti al suo interno trovano spesso posto anche i momenti più melodici, il più delle volte legati alla sensuale voce femminile, ma in generale si tratta di uno dei brani più veloci dell’album che pare avere un moto di rallentamento solo nel finale.
Subito dopo tocca a Cruelty Brought Thee Orchids, dopo l’iniziale apertura parlata da parte della voce femminile, si riparte con la batteria velocissima per un brano che inizia tirato per poi andare più volte a rallentare durante la sua esecuzione lasciando da parte batteria e chitarre per fare spazio alle parti più melodiche e lente puramente sinfoniche.
Discorso sostanzialmente identico può essere fatto per la quarta traccia intitolata Beneath the Howling Stars, in particolare in questo brano si fanno fortemente notare le atmosfere più tristi e depresse che occupano la parte centrale del brano con la voce di Dani eccezionalmente straziante e quella femminile veramente toccante.
Venus in Fear è un brano d’intermezzo che definire particolare mi sembra sia dire poco, lungo poco più di due minuti dà spazio a voci e urli femminili di terrore che si alternano al classico scream di Dani e ad altre voci femminili che gemono di piacere, il tutto si incastona a un sottofondo sinfonico d’atmosfera nel tipico stile dei Cradle of Filth. Sicuramente un brano particolare in grado di far alzare un sopracciglio a chi lo ascolta una prima volta e che sta a sottolineare quanto già ampiamente ripetuto a livello di grafica dalla band inglese sulla loro intenzione di voler fondere alcune tematiche come il sangue, il vampirismo, la morte e l’erotismo.
Una menzione particolare tra le canzoni presentate in quest’album non può però non meritarsi l’ottava Bathory Aria, una song di circa undici minuti, quasi una sinfonia lunghissima e variegatissima che sembra assumere al suo interno tutte le sfumature del suond e del modo di fare musica dei Cradle of Filth. Una sorta di summa delle loro capacità musicali e al contempo di loro manifesto che pare quasi voler dire: “questo è quello che sappiamo fare”. Una canzone veramente notevole e tra le migliori mai composte dalla band inglese, da ascoltare e riascoltare in grado di non stancare mai nonostante la sua lunghezza possa all’inizio un po’ spaventare l’ascoltatore.

Passando infine alle considerazioni finali credo che Cruelty and the Beast in definitiva non aggiunga nulla di sostanziale a quella che è la proposta musicale della band inglese. Gli ingredienti ci sono tutti, sono gli stessi usati per Dusk and Her Embrace. Abbiamo la voce particolarissima di Dani, l’uso in alcuni punti di una voce femminile molto calda e sansuale, le partiture sinfoniche d’atmosfera e l’apporto di chitarre e batteria usate ora per furiosi riff macinati a tutta velocità, ora per rimanere un attimo in disparte nei momenti più lenti e melodici. Gli ingredienti sono gli stessi quindi, ma il risultato è diverso, e di tutto rispetto per coloro che apprezzano le capacità compositive dei Cradle of Filth. Un album che se probabilmente non raggiunge le vette di originalità e di freschezza stilistica di Principle of Evil Made Flesh e Dusk and Her Embrace, si piazza appena un gradino sotto.
Siccome però i vampiri inglesi sono un gruppo che o si ama o si odia, senza mezze misure, mi sento di consigliare questo album solo agli appassionati, gli altri forse è meglio che si rivolgano altrove oppure che provino a scoprire la band poco per volta partendo dai suoi inizi per poterne apprezzare meglio l’evoluzione stilistica.

Tracklist:
01 Once Upon Atrocity
02 Thirteen Autumns and a Widow
03 Cruelty Brought Thee Orchids
04 Beneath the Howling Stars
05 Venus in Fear
06 Desire in Violent Overture
07 The Twisted Nails of Faith
08 Bathory Aria
09 Portrait of the Dead Countess
10 Lustmord and Wargasm

Alex “Engash-Krul” Calvi

Ultimi album di Cradle of Filth