Recensione: Crystal Eye

Di Marcello Catozzi - 22 Aprile 2012 - 0:00
Crystal Eye
Band: Vengeance
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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80

Correva il lontano 1983 quando si formarono i Vengeance: questa leggendaria rock band olandese ha calcato le assi dei palchi di tutto il mondo per quasi un trentennio, regalando scariche di pura adrenalina con grande coerenza e fedeltà, sempre nel segno del sano e genuino Rock and Roll di vecchio stampo.
Chi scrive ha avuto la possibilità di assistere a parecchi live show di questa straordinaria e un po’ pazza Rock and Roll band e i momenti vissuti durante quei concerti sono rimasti nel cassetto dei ricordi più belli, musicalmente parlando.
I Vengeance hanno prodotto, nella loro gloriosa carriera, una decina di album. A distanza di tre anni dal loro ultimo disco, “Soul Collector”, vede la luce l’ultimo nato dal titolo “Crystal Eye”, fra l’altro il primo (nella storia della band) con una formazione completamente rinnovata, impreziosita da innesti di prim’ordine quali il chitarrista Keri Kelli (Alice Cooper), il bassista Chris Glen (Michael Schenker Group) e Chris Slade (AC-DC), L’album annovera “collaboratori” di prim’ordine, fra le quali citiamo: Arjen Lucassen (Vengeance, Ayreon, Star One), Michael Voss (Mad Max), Tony Martin (Black Sabbath), oltre al giovanissimo e talentuoso chitarrista Timo Somers, figlio del compianto Jan Somers, storico membro del gruppo fin dagli albori. A proposito di quest’ultimo, va detto che sia l’artwork del disco sia le illustrazioni sono opera dello stesso Jan.

Iniziamo l’ascolto con la prima traccia dal titolo “Me and You”, che parte a manetta con un tiro incalzante, impresso da una pesante batteria nell’intro destinata a costituire il drumming del pezzo. I riff di chitarra, ben impostati e di spiccata personalità, vengono presto affiancati dalle parti vocali di Leon che imprimono l’inequivocabile marchio di fabbrica Vengeance.
“Bad to the bone” si apre con un riffone che si stampa subito nella mente e che formerà, insieme con basso e batteria, la trama portante dell’intera song. Tirata e rabbiosa al punto giusto, condita da una voce dalle tinte “maligne”, questa song rappresenta un bel ritorno a casa per la gioia di tutti gli amanti del genere (Hard Rock anni 80), soprattutto di coloro che hanno avuto modo di apprezzare i precedenti lavori del gruppo olandese.
Con “Barbeque” arriva un momento di giocosa spensieratezza: introdotto da basso e chitarra e battezzato a dovere dalla timbrica di Leon, questo brano si snoda attraverso cori e stacchi azzeccati, vivace e frizzante, con un assolo dalle tonalità familiari, così come tutta la sonorità in generale.
Cadenzata e cattiva quanto basta, “Shock me now” risulta caratterizzata da reminescenze ottantiane che evocano illustri nomi del passato; da sottolineare, anche qui, un’ottima prestazione vocale e un assolo di chitarra di grande spessore ed espressività.

“Five knuckle shuffle” si presenta con una robusta schitarrata molto orecchiabile, cavalcata con perizia e mestiere da uno scatenato Leon. Un assolo corposo, sorretto da cori ben curati, contribuisce a renderlo uno degli episodi migliori del disco.
Una voce femminile, particolarmente sensuale, fa da intro a “Desperate women”, assai grintosa e heavy, che ricorda la famosa “Take it or leave it” nel ritornello e nell’approccio in generale. La chitarra è in grande evidenza, mentre la base ritmica si esprime su alti livelli, così come la voce che riesce a toccare tonalità stratosferiche.
“Whole lotta metal” è una vera cavalcata a briglie sciolte, un Rock and Roll scapestrato e selvaggio dalle chiare sonorità di stampo Hard and Heavy. Allegra e spedita dall’inizio alla fine, con un assolo alla Van Halen e un simpatico duetto chitarra / voce nel bridge, la canzone si chiude con stacchi mozzafiato nel finale.

Con “Promise me” arriva il momento della ballad: stupendamente costruita, tanto da restare scolpita nella sfera emotiva degli ascoltatori dall’animo nostalgico, si distingue per la presenza di una chitarra un po’ ruffiana e un drumming che si sposa alla perfezione con lo spirito della song. Ma è soprattutto quell’istrione di Leon che, qui, riesce a dare un’espressione artistica di gran classe alla propria interpretazione, capace di commuovere ed emozionare. Ciò premesso, non esiterei a definire questa song una vera hit.
La title track “Crystal eye” si apre con un’ouverture in stile medievaleggiante, dal gusto un po’ rétro; successivamente, però, la traccia acquista sempre maggiore corposità e robustezza e si arricchisce di contenuti e spunti. Evocando reminescenze di un glorioso passato, questo pezzo si ammanta di toni epici in un crescendo vertiginoso, lasciando nell’aria un sapore di ottantiana memoria.
Arpeggio coinvolgente e voce ammiccante aprono questa ballatona dalle tinte melodiche, in cui Leon esprime al meglio tutta la sua straordinaria versatilità nell’uso del suo strumento: una voce non urlata né graffiata, ma utilizzata con toccante feeling e pulizia. Un assolo acustico che poi si elettrifica e una coesione d’insieme sono gli elementi che qualificano questa bellissima song.
Si chiude con un momento di profonda tristezza: “Jans end piece”, ovvero l’ultimo assolo dell’indimenticato (e indimenticabile) Jan Somers, prima della sua morte, avvenuta nel gennaio dello scorso anno a causa di un attacco cardiaco nel giardino di casa.

Questo disco rappresenta, senza dubbio, un graditissimo ritorno per una band fin troppo sottovalutata, che ha scritto canzoni di enorme impatto e che, dal vivo, non ha mai deluso, nelle sue varie formazioni. Direi che con questo album i Vengeance dimostrano di essere più vivi che mai, grazie a questa “nuova linfa” di eccellente qualità, come si accennava in premessa. Qualcuno, forse, opporrà le solite obiezioni tipo “non dicono niente di nuovo”, ma il solo fatto di esistere e di regalare altre emozioni con canzoni di ottimo livello – secondo il modesto parere di chi scrive – dovrebbe rendere felici non solo i più datati fra il pubblico, ma anche quelli che si accostano per la prima volta a questa storica realtà musicale. “Crystal eye” non vincerà il disco di platino, insomma, però merita sicuramente un posto nello scaffale di tutti i veri appassionati del sano, vecchio e genuino Hard Rock.

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Tracklist:

01.    Me and you
02.    Bad to the bone
03.    Barbeque
04.    Shock me now
05.    Five knuckle shuffle
06.    Desperate women
07.    Whole lotta metal
08.    Promise me
09.    Crystal eye
10.    Missing
11.    Jans end piece
 

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