Recensione: Curse of the Seas

Di Vladimir Sajin - 12 Febbraio 2019 - 0:00
Curse of the Seas
Band: Aria
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Gli Aria sono una delle heavy metal band più conosciute per la quasi metà del globo terrestre. Parliamo dello storico collettivo russo molto seguito e assai famoso come in patria così anche in tutto il grande Est europeo ed asiatico. Con una carriera alle spalle che ha superato le tre decadi, sono ormai un’istituzione nel loro ambiente e non solo. Nonostante tutto questo, sia in Italia che in tutta l’Europa occidentale sono praticamente sconosciuti. Questo può essere dovuto a diversi fattori: ad esempio il vasto pubblico che coinvolge tutto l’ex-URSS e i suoi dintorni è così numeroso che può benissimo bastare e avanzare al collettivo russo. Un altro aspetto è legato alla lingua: i nostri cantano rigorosamente e solo in lingua russa. Inoltre, come dichiarato da loro stessi, il testo riveste un ruolo fondamentale nella loro arte complessiva, spesso vengono addirittura definiti come un gruppo “text oriented” grazie anche alle partecipazioni che negli anni hanno coinvolto diversi poeti e autori moderni russi. Ed un ultimo ma non meno importante fattore riguarda la situazione geopolitica come la guerra fredda, la russofobia e l’americanizzazione occidentale che di certo non ha contribuito a far scoprire i doni della Russia all’occidente, ma sono temi che di certo non andremo ad approfondire in questa sede.

Con questo ”Curse of the Seas” siamo giunti al tredicesimo album in studio nella carriera degli Aria. Sono passati quattro anni dal precedente ed eccellente ”Through All Times” il quale già all’epoca poteva benissimo essere un ottimo biglietto da visita per il pubblico occidentale, ma questa volta gli Aria sono andati ancora oltre, e hanno deciso di fare le cose veramente in grande assumendo come producer, direttore del missaggio e supervisore del suono l’illustre Roy Z che ha lavorato e prodotto molti album dei gruppi come Helloween, Judas Priest e Bruce Dikinson. Il mastering è stato affidato a Maor Appelbaum (Faith No More, Malmsteen, Rob Halford, Yes).  Con questi celebri nomi dietro le quinte, oltre a raggiungere una qualità produttiva assoluta, ciò che si nota maggiormente è quel tocco occidentale che viene aggiunto al tipico sound degli Aria. Tutti elementi che potrebbero sdoganare definitivamente il gruppo russo. Il suono generale richiama volutamente l’heavy classico degli anni ottanta con elementi power e thrash. La sezione ritmica affidata a Vitaly Dubinin al basso e Maxim Udalov alle percussioni sono tra gli elementi che saltano subito all’orecchio, già dal primo ascolto. Oltre ad essere ben evidenziati attraverso una produzione impeccabile, sono molto riusciti ed ispirati, e danno un grande valore aggiunto al suono complessivo. Il corpo musicale viene affidato alle chitarre di Vladimir Holstinin e Sergey Popov  che talvolta virano verso un speed-power altre volte verso una sezione quasi thrash, il tutto senza mai esagerare ne andare oltre le righe. Il racconto del tredicesimo capitolo della loro eterna saga viene affidata all’ottimo cantante Mikhail Zhitnyakov.

Dal punto di vista narrativo possiamo paragonare quest’album ad una rivisitazione in chiave moderna dell’Odissea di Omero. Per questo può essere considerato un lavoro semi-concettuale che racconta un grande viaggio pieno di ostacoli ed intemperie dell’umanità attraverso il mare della vita. Vengono toccati temi moderni come la ricerca della gloria attraverso i consensi virtuali di un social, e le tematiche antiche e perpetui come la lotta tra il bene ed il male. Molto curiosi e riusciti sono i racconti in prima persona di oggetti inanimati ma personificati come la storica nave da guerra inglese, oppure il punto di vista di Dio sulle faccende umane. Molto toccante e profonda risulta la riflessione sul fatto che dalla nascita ognuno di noi cerca di unirsi al suo prossimo, invece la vita e la società sembra essere strutturata appositamente per dividerci, creando inutile barriere e spartizioni, andando in netto contrasto con l’esistenza stessa. Il tutto si conclude con il resoconto di un protagonista principale, il nostro Ulisse, che tira le somme del suo personale viaggio attraverso questo mare dell’esistenza umana sulla terra. Anche se i testi sono molto interessanti e profondi, talvolta non raggiungono l’apice poetico e creativo che il gruppo ha avuto negli anni passati grazie alla collaborazione con la scrittrice e poetessa russa Margarita Pushkina, tra l’altro coinvolta anche in quest’album. Durante quel periodo d’oro molte delle canzoni degli Aria sono paragonati a delle perle letterarie della prosa moderna russa. Il tutto raccontato attraverso la voce dello storico cantante Valery Kipelov che ha lasciato la band nel 2002 ed è rimpianto ancora oggi da molti fan che continuano a sperare in una futura riunion.

Curse of the Seas” è un album molto corposo ed eterogeneo, composto da ben undici brani molto diversi tra loro e con un’epica suite finale che supera ben dodici minuti. Con così tanto materiale è necessaria almeno una dozzina di ascolti per riuscire ad assimilare ed apprezzare le varie sfumature che può regalare questo mastodontico lavoro. Ogni canzone dell’album vive di vita propria, ‘Race For Glory‘ è un’ottima cavalcata heavy che funge da apripista, ‘Varyag‘ alterna momenti da tempo medio con delle accelerazioni che ricordano il martellante metal teutonico. Con ‘Lucifer‘ siamo catapultati nel pieno sound anni 70/80 con chiaro rimando ai primi lavori del gruppo. ‘Hard To be God‘ è un’epica ballata sostenuta e molto eterogenea, complessa e profonda sia nel testo che nella musica. In ‘Let it Be‘ invece siamo di fronte ad una classica ballad struggente e sentimentale. A metà disco troviamo ‘Alive‘ un brano colossale che spazia da un’introduzione mistica a delle accelerazioni e sezioni ritmiche molto possenti, il tutto ulteriormente arricchito da un bellissimo intermezzo strumentale. Un brano che sfoggia grande classe e l’enorme esperienza di tutto il collettivo. ‘Kill the Dragon‘ è uno di quei brani che insieme a ‘From Sunset To Sunrise‘ risentono maggiormente il magico tocco di Roy Z che riesce a dare quella sfumatura originale, fresca e moderna al sound tendenzialmente tradizionale proposto dagli Aria. In ‘Smoke Without Fire‘ troviamo l’ennesimo brano lungo, complesso e molto strutturato. Il viaggio giunge alla conclusione con l’omonima ‘Curse of the Seas‘ come già anticipato, ci troviamo al conspetto di un’imponente opera musicale che richiama alla mente la ‘Rhyme Of The Ancient Mariner‘ degli Iron Maiden per la sua struttura e le atmosfere mistiche, con quel tipico clima di un grandioso e arcano “racconto dei racconti” che si viene a creare.

Con una produzione stellare affidata al mitico Roy Z ed un sound che richiama volutamente le sonorità degli anni 80 gli Aria vogliono riproporsi all’ascoltatore moderno, dalla Russia al mercato internazionale. I nostri lo fanno giocando una carta pericolosa ma audace, perché, se da una parte un tale approccio può attirare nuovi ascoltatori, sopratutto fuori dal territorio della Grande Madre Russia, dall’altra parte può far storcere il naso ai fan più conservatori. Dal canto nostro, apprezziamo questa voglia di mettersi in gioco per una band che potrebbe benissimo campare di rendita ancora per moltissimi anni. ”Curse of the Seas” può rappresentare l’ennesimo tentativo del gruppo russo di creare un ponte che unisce il mondo orientale con quello occidentale, e quale potrebbe essere il modo migliore per farlo se non attraverso la Musica?

Vladimir Sajin

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