Recensione: Cycle Of Revenge

Di Giuseppe Casafina - 22 Aprile 2016 - 0:36
Cycle Of Revenge
Band: Convulse
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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70

SENTIERI INASPETTATI

 

Sembrava una strada facile, ed invece a volte anche camminando sullo stesso sentiero del passato si potrebbe ricevere un’illuminazione in qualunque momento: la metafora di un nuovo corso, assolutamente inaspettato e per certi versi anche un pò troppo improvviso.

A volte, il mondo di coloro che ritornano in pista a volte non è mera voglia di continuare a mirare sempre il proprio passato, allo scopo di ricreare ossessivamente le stesse sonorità di un tempo per poter così accontentare vecchi fan delusi dallo scemare progressivo della vecchia guardia.

I Convulse del 2016 non hanno, infatti, nulla a che vedere con tutto questo.

Sebbene i fasti dell’esordio “World Without God” siano comunque lontani, avrebbero potuto incidere un magari anche solo una copia sbiadita del precedente “Evil Prevails”, e pace: ed invece no, perché i Convulse del 2016 hanno dimostrato di essere una di quelle pochissime, sempre più rare formazioni tornate nel mondo della musica estrema con intenzioni differenti dal solito obbiettivo del ‘ricalcare l’onda di un tempo’, preferendo piuttosto un ‘allargare gli orizzonti del passato’ sia loro che del death metal stesso, con tutti i pregi e difetti del caso.

 

IL CICLO DELLA VENDETTA E’ LA VIA DEL RINNOVAMENTO?

 

Partiamo subito con il dire che la direzione intrapresa nel nuovo “Cycle Of Revenge” spezza non solo il sentiero marciato dal precedente album di ritorno sulle scene, ma anche qualsiasi aspettativa in termini di ‘Death Metal’ in senso puro: dopo il ‘revival’ Di discreta fattura del disco che lo ha preceduto infatti, sul nuovo album i finalndesi tentano l’azzardo che più azzardo non si può, creando il primo disco in assoluto al Mondo capace di marcare la definizione di ‘post-Death Metal’.

Io stesso non sono favorevole alle derivazioni ‘post’ nel mondo della musica in toto, ma bisogna ammettere che il lavoro svolto su questo album è tutto fuorché disprezzabile: la title-track ad esempio, che apre il disco, sfoggia sin dall’inizio un arpeggio dall’armonizzazione inconsueta per un disco death metal, che subito sfocia in un riff dal feeling folk-oriented accompagnato da un tempo di batteria doom ben più classico rispetto al ben più inusuale riff principale.

Il growl rimane, ma nel mentre del brano, ecco spuntare un improvviso cambio di batteria tipicamente rock che dona al tutto una natura ‘noise rock’, con tanto di riff semi-maideniano a spezzare ulteriormente in tutto: poi, stop, perché è di nuovo l’arpeggio iniziale a tornare in auge per chiudere il brano.

Il risultato finale sfuma nell’introduzione del secondo brano ‘God is You’ con una batteria che per derivazione ritmica cita quasi i Red Hot Chili Peppers, nuove derive noise a iosa con tanto di chitarre con effetto tremolo, inserti di tastiera, riff ed atmosfere arabeggianti, su cui si spalmano sussurri alternati a growl.

 

IL DEATH METAL DI IERI, IL DEATH METAL DI OGGI

 

Insomma, cosa ha questo disco dei Convulse del passato?

Forse nulla in realtà, anzi togliamo anche il forse: già mi immagino folte schiere di defenders della vecchia scuola pronti a dare contro questa uscita, con l’accusa di essere un album destinato ad un’ audience di stampo ben più ampio rispetto a quella del solito….ed in effetti ciò potrebbe anche essere una valida ‘accusa’ per criticare il nuovo corso dei finnici.

Un nuovo corso che, del death metal delle origini, conserva giusto il lato vocale (come già detto il growl persiste ancora), l’accordatura ribassata delle chitarre e qualche vago spunto sparso lungo il corso dei brani….però, chiariamoci, il risultato è sempre a suo modo estremo, con un risultato compositivo decisamente di ottima fattura, perchè bisogna ammettere che non vi è una nota fuori posto, ed ogni pezzo ha delle peculiarità in grado di mantenere in vita l’interesse dell’ascoltatore più open-minded.

Basti pensare che ‘Nature of Humankind’, il pezzo che in apparenza appare più classicista di tutto il disco, rivela già dopo la prima variazione un riff in stile “Black Album” dei Metallica, territorio pericoloso per qualunque ensemble dedito alla nostra musica preferita, e lo è ancor più se si tratta della sua variante più estrema; ma è con la successiva ‘Ever Flowing Stream’ che persino le ultime radici death vengono abbandonate del tutto (o meglio completamente stravolte fino a renderle irriconoscibili, quasi a dispetto del titolo del pezzo che rimanda facilmente ad un classico assoluto del death metal proveniente dalla loro vicina Svezia) a favore di un cantato dal tono rauco e dall’incedere melodico, che dona al pezzo un flavour quasi da ‘horror-opera’ sullo stile di “Rocky Horror Picture Show”.

In “War” invece, il death metal, o meglio quel che ne rimane, diviene una massa informe in grado di essere riplasmata in forma rinnovata ed innovativa: il tempo di batteria tipicamente rock in 4/4 e gli innumerevoli sussurri alternati ai growl si uniscono ai riff monocordi che donano al tutto un feeling in stile Sepultura, quelli tanto discussi di “Roots”, con l’unica differenza che qui al posto delle percussioni e dei canti tribali troviamo un solo di chitarra di stampo quasi ‘gotico’ ad accompagnare l’incedere di alcuni passaggi, ripetuto in più occasioni lungo il brano.

La conclusiva ‘Into the Void’ è pura oscurità in chiave sperimentale (così come altamente sperimentale si rivela la ritualistica ‘Fractured Pieces’, quarto pezzi in scaletta), una suite più che un brano vero e proprio, dove nel paesaggio atmosferico contornato dai Nostri si avvertono degli echi leggermente più sostenuti al passato puramente death della band, senza mai però andare a ripescare a man’ basse da esso.

 

LA FINE DEL SENTIERO: “THE SHAPE OF DEATH METAL TO COME”

 

E così “Cycle of Revenge” giunge al termine.

Trattasi di un disco estremamente coraggioso, forse anche troppo, talmente avanguardista nelle intenzioni al punto da risultare spiazzante, disorientante per chiunque conosca il passato dei finlandesi: c’è la voglia di stupire, ma anche il sospetto che forse il passo è stato troppo improvviso e quindi l’unico, reale ‘difetto’, o presunto tale di questa comunque notevole fatica in studio sia unicamente quello di ritrovarsi il nome Convulse in copertina (se non fosse stato così, ora questa recensione sarebbe di ben altro stampo).

Ma si sa, in fondo, che ciò che conta in un buon disco è la musica contenuta al suo interno e musicalmente, appunto, siamo al cospetto di una costruzione sonora solida e ben strutturata: l’opera scorre senza esitazioni fino alla fine, le soluzioni interessanti abbondano e la durata dei brani è sempre ben calibrata e mai esagerata.

Spesso, durante gli ascolti, mi è salita in menta l’idea non troppo pazzesca che quel che ascoltavo pareva la versione in salsa simil-death di “The Shape of Punk to Come” dei Refused: per intenzioni sicuramente, e forse anche per risultato, con l’unica nota stonata data dalla mancanza di storicità del prodotto di casa Convulse.

Ma, proprio riguardo la storicità, in fondo è ancora troppo presto per parlarne quindi, non ci resta altro che assistere sul come questo disco verrà trattato negli anni a venire: scivolone o genialità? Perché qui l’azzardo è talmente ampio da risultare addirittura superiore, per ‘pericolosità’, a quello tentato dagli In Flames, giusto per fare un nome.

Quindi, vedremo….per ora non mi sbilancio e mi mantengo basso con il voto, ma non è detto che questo non possa risalire con l’incedere del tempo a livello personale.

Un ‘Ciclo di Vendetta’ forse anomalo, ma spesso l’essere inusuali è la migliore arma contro il ristagnamento: bisogna ammetterlo, ed anche premiare il coraggio se i risultati sono squisitamente buoni come in questo caso.

Non è questa, forse, la migliore vendetta?

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