Recensione: Damage S.F.P.

Di Andrea Bacigalupo - 12 Giugno 2019 - 8:30
Damage S.F.P.
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2019
Nazione:
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68

Il terzetto finlandese Damage S.F.P. si può definire una band storica, essendosi formato nell’aimè lontano 1989, quanto una band emergente, esordendo discograficamente per la prima volta quest’anno con il Full Album omonimo, prodotto dalla Rockshots Records e disponibile dal 14 giugno.

La loro maggiore attività si concentrò nella prima metà degli anni ’90, periodo in cui, oltre a calcare i palchi, produssero qualche demo. Poi nel 1996 lo scioglimento fino al 2018, quando si sono ricomposti e compattati per dare alla luce il loro primo platter, riporante il semplice titolo di Damage S.F.P.e contente brani scritti tra il 1991 ed il 1994.

Il risultato non è male grazie ad una buona produzione che attualizza i suoni senza però stravolgere il sound dell’epoca, evitando sensazioni malinconiche e del ‘già sentito’. Si tratta di Thrash robusto ed incisivo, che gioca coi cambi di tempo ‘velocità – cadenza’ e con la melodia Heavy Metal nel più classico dei modi, un po’ contanimato in qualche pezzo dalla furia Death ma, tutto sommato, genuino.

La padronanza degli strumenti è di buona qualità anche se un po’ debole in sede solista, ma c’è di peggio.

E’ invece la voce di Jarkko Nikkilä che è contraddittoria: ha buona potenzialità, può esprimere parecchio ma, a perere dello scrivente, in molti brani viene utilizzata male: troppo arrocchita quando vuole essere profonda non riesce ad emozionare; in altri brani, invece, si sente troppo un’inflessione alla James Hetfield, più che discreta, ma che le fa perdere personalità.

damage

Entrando nell’album, troviamo un po’ tutto quello che è l’essenza del Thrash, che i Damage S.F.P. facevano sopravvivere in un periodo in cui questo genere era in crisi e parecchi gruppi passavano a suonare dell’altro. Motivo in più perché queste canzoni non vadano perse, essendo la testimonianza che alcuni ‘ribelli’, che volevano tenere in vita l’espressione massima della contestazione, continuavano inesorabilmente ad insistere.

Abbiamo, quindi, dei brani, come l’iniziale ‘Ride’, ‘Ruthless Fate’, ‘Tyrants’ e ‘Tragedy’ che sono dei classici del Thrash: veloci, compatti, diretti e senza fronzoli: energia pura.

Altri, come ‘Death of Innocent’ e ‘Burst of Rage’,  sono più controllati, volti  a suscitare emozioni intense introducendo sezioni scure e pesanti.

Non manca il pezzo strumentale acustico e malinconico (‘Insomnium), che spezza il disco in due, quello più feroce e spasmodico (‘Grain Brain’) e quello dove la melodia suscita sensazioni di disperazione (‘Ode to Sorrow’).

Insomma, un album abbastanza articolato e dinamico, di discreto pregio che, anche se arriva tardi, pensando alla storia della band, forse è stato inciso nel momento giusto, quando questo sound è di nuovo apprezzato in pieno.

Ora, speriamo che non sia una ‘meteora’ ma che i Damage S.F.P. proseguano, aggiustando quelle poche cose che servono per migliorare e dotarsi di una propria personalità. Con questo album superano la sufficienza.

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