Recensione: Damnati ad Metalla

Di - 25 Aprile 2011 - 0:00
Damnati ad Metalla
Band: Folk Stone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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83

Quello che devo fare, prima di addentrarmi specificatamente nel disco dei Folkstone, è una sorta di “disintossicazione” o, per meglio dire, di un percorso lungo la strada che riconduce all’italico parlare. Abituato al folk scandinavo, slavo o mediorientale, il ritornare violentemente alla lingua dei padri non è cosa affatto semplice da fare. Nota di sicuro merito, questa, per i nostrani Folkstone, alfieri pressoché incontrastati del folk metal ‘Made in Italy’ cantato esclusivamente in italiano. Diretti, schietti e genuini come una polenta fumante tagliata con lo spago; la band bergamasca è riuscita a ritagliarsi uno spazio considerevole all’interno della scena Metal italiana grazie a delle solide convinzioni unite ad una proposta musicale che, con il tempo, si è fatta sempre più strutturata e matura.

Quello che emerge è un’attitudine musicale che pesca a piene mani nella tradizione popolare; tradizione che, in questa Italia così marcatamente malata di esterofilia, spesso può essere considerata banale, sempliciotta e scontata. Quello che spesso al nostro paese manca, se non altro in abito musicale, è la valorizzazione dei talenti di casa nostra. L’erba del giardino del vicino non deve essere per forza sempre più verde, e questo “Damnati Ad Metalla” ne è la riprova.
Forse è proprio questa – spesso – impari lotta contro lo strapotere straniero in ambito musicale che, in più di un’occasione, costringe gli artisti nostrani ad ingegnarsi di più, a sudare di più, a combattere di più per poter arrivare ad abbattere il castrante muro di gomma dell’anonimato.

I Folkstone ci sbattono sul grugno quanto di buono c’è in Italia; ci dimostrano quanta effervescente potenzialità è pronta ad esplodere se solo viene concessa una minima opportunità. Come possiamo non descrivere il brano “Longobardia”, ad esempio, se non come il tributo più intimo e poetico alla propria terra, alle proprie radici. “Incrocio di genti… senza via…Longobardia”: queste le ultime parole del brano che descrive la migrazione dei germani Longobardi (popolo dalle lunghe barbe legati alla Dea Frigg moglie di Odino) che, dopo aver lasciato la natia Scania, raggiunsero l’allora Italia settentrionale varcando dapprima le Alpi Giulie, seguendo poi il corso del fiume Isonzo creando così, alcuni anni più tardi, il regno longobardo.

Come commentare la superba “Anime Dannate”, brano che da solo vale il prezzo della release? Un inno che si stampa nella memoria al primo ascolto e che denota l’enorme passo avanti in termini di songwriting della band orobica. Struttura ben ponderata, ritornello accattivante, canzone insomma davvero superba che per molto tempo ha colonizzato ogni mia residua cellula grigia. Onnipresente il suono della cornamusa, vera e incontrastata protagonista della proposta musicale di Lore e soci che domina dall’alto la bombarda e l’eterea arpa celtica. Passando per la piacevole “Frerì” si arriva alla seconda hit del disco. “Un’altra volta ancora” è brano da taverna che riporta all’ascoltatore il profumo della carne alla brace, il fumo impregnante delle pipe e l’aspro odore dell’ urina degli avventori stesi sui tavoli, oramai privi di conoscenza. L’osteria si anima grazie all’utilizzo delle due voci narranti, veri e propri fari illuminanti per le danze sguaiate e libere degli astanti “…Alti noi ora leviam, i boccali per brindar, birra a fiumi imbratta la taverna popolana”.

Dopo l’ottima filler “Luppulus in Fabula”, passiamo alla mediorientale “Terra Santa”, ottimo brano introspettivo che ci rende il punto di vista di un pellegrino in terra santa costretto a porsi criticamente non solo verso le spedizioni crociate  in sé, ma anche verso il proprio stesso credo “ho scagliato le mie armi per un Dio di vanità”.
Toccante “Nell’alto cadrò” in cui le note del “Baghet” rendono omaggio allo sfortunato alpinista bergamasco Roby Piantoni, morto durante la scalata dello Shisha Pangma in Tibet.

“Ora resta, la memoria”.
 
Per concludere in bellezza, i Nostri ci mettono pure la cover di “Vanità di vanità” di Angelo Branduardi per mettere fine, assieme alla conclusiva “Rocce Nere” interpretata con il coro ‘Le Due Valli’, ad un album davvero eccellente.
Per tutti gli italici amanti della musica folk posso affermare senza paura di essere smentito che questo lavoro sia un disco imprescindibile. Sono orgoglioso di poter scrivere di questo “Dannati Ad Metalla” e, più in generale, dei Folkstone band che, grazie alla costante ispirazione del Monte Podona, ha contribuito a scrivere una pagina importante nel metal tricolore.
In alto i corni pieni di ottimo vino speziato per brindare alla salute di questi Folkstone: per svuotarli in un sol sorso, questi corni, ci sarà sempre tempo…

Daniele Peluso

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TRACKLIST:

1. Ol Bal di Oss     
2. Longobardia
3. Aufstand!     
4. Anime Dannate     
5. Frerì     
6. Un’Altra Volta Ancora     
7. Luppulus in Fabula     
8. Terra Santa       
9. Senza Certezze       
10. Vortici Scuri       
11. Nell’Alto Cadrò           
12. Vanità di Vanità     
13. Rocce Nere

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