Recensione: Dancing Madly Backwards

Di Stefano Burini - 21 Aprile 2013 - 14:36
Dancing Madly Backwards
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Anno: 2012
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77

Con un nome e un titolo del genere, che musica potranno mai suonare i Captain Crimson nel loro nuovo album “Dancing Madly Backwords”? Ma dell’hard rock vecchia maniera, intriso di blues fino al midollo e sapientemente speziato di stoner, ovviamente!

Il quartetto composto da Stefan Norén alla voce e alla chitarra, Andreas Eriksson alla seconda chitarra, Anders Tallfors al basso e Michael Läth alla batteria, nasce nel novembre del 2011 in quel di Örebro, cittadina situata nel sud della fredda Svezia, e giunge al debutto discografico nel 2012 con un album che ripropone pari pari il titolo di un classicone targato 1972 dei quasi omonimi Captain Beyond. Il gioco dei rimandi non si ferma, tuttavia, ai soli nomi e titoli, come pronosticabile per un album di “classic rock”. E così, se da un lato appare evidentemente chiaro come i riff e in generale il sound dei Captain Crimson siano di seconda o anche terza mano, è altrettanto evidente che i ragazzi hanno buone idee e qualità tecniche ed espressive sufficienti per dar loro forma e sostanza.

Con “Lonely Devils Club” entriamo immediatamente in sintonia con la proposta del Capitano Cremisi, finendo proiettati fin da subito in mezzo a riff che odorano di polvere e “analogico” lontano un miglio, partoriti da chitarre che non disdegnano le tonalità grasse e ribassate dello stoner primigenio (Sleep, Kyuss) ma che, nel contempo, mantengono sempre un occhio, in quanto ad attitudine, ai mostri sacri dei 70’s. La voce di Norén è squillante e colorata, più vicina, se proprio s’ha da fare paragoni e con le dovute differenze, a quelle di altri artisti non estranei alla scena indie che non al ruvido furore del mitico John Garcia (ed è corretto rimarcare che il connubio con sonorità così “old style” funziona alla grande).

“Mountain Of Sleep” prosegue gagliardamente omaggiando proprio gli Sleep e il loro celebratissimo “Holy Mountain”: un tripudio di riff rugginosi, assoli incisivi e vocalizzi grezzi ma efficaci. La successiva “River” fa il suo sporco lavoro, senza tuttavia brillare e facendosi rubare la scena dall’incandescente “Don’t Take Me For A Fool”, una sorta di stoner blues rovente ed ispirato come riusciva solo a grandi maestri del calibro di Eric Clapton, Gary Moore e Stevie Ray Vaughan. Le infuocate chitarre la fanno da padrone anche in “Autumn”, di nuovo hard/stoner rock con una inusuale “coda” in cui il folk cede il passo al punk, e sulle cui note si distingue di nuovo il cantato “alticcio” e volutamente sopra le righe di Stefan Norén.

Proseguendo nell’ascolto, incrociamo“Wizard’s Bonnet”, felicemente in bilico tra stoner e  puro hard settantiano, mentre “Silver Moon” va a pescare a piene mani dalla psichedelia dei 60’s, con un riff che rimanda tanto ai Cream quanto ai Mountain e in generale a tutte le band che in quegli anni tracciavano la via per il rock duro, tra distorsioni grezze ma possenti, furia incendiaria mutuata dal blues e un flavour lisergico che non veniva mai meno.

Il finale è riservato a quelle che si rivelano probabilmente essere le due top track in scaletta, la zeppeliniana “True Color”, riff rotolante, chitarrismo blues-oriented e un finale che assume presto le sembianze di un indiavolata jam, e la conclusiva title track, un movimentato stoner/hard rock più vicino ai Graveyard di “Submarine Blues” che non ai già citati Captain Beyond, sempre di ottima fattura.

Non saranno originalissime né in grado di sconvolgere il mondo della musica, le canzoni proposte dai quattro svedesi, eppure l’album scorre che è una meraviglia, facendosi ascoltare con trasporto più e più volte in virtù della qualità delle composizioni e del riuscito dosaggio delle varie componenti. Hard Rock come si faceva una volta: se è questo che cercate, “Dancing Madly Backwards” potrà regalarvi discrete soddisfazioni.

Stefano Burini

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