Recensione: Dark Thrones & Black Flags

Di Daniele Balestrieri - 29 Ottobre 2008 - 0:00
Dark Thrones & Black Flags
Band: Darkthrone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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73

Ogni volta che aleggia nell’aria il nome “Darkthrone” piomba sempre un silenzio quasi reverenziale per la band che ha di fatto scritto la storia del black metal tramite album ormai diventati leggendari come Transilvanian Hunger o Panzerfaust. Nocturno Culto e Fenriz sono ben consci dell’alone di ossequio che li circonda, tanto che hanno avuto il fegato di far uscire un disco tanto anti-Darkthroniano come Fuck Off And Die e ricevere comunque applausi scroscianti, misti ovviamente ai fischi degli intransigenti.
Certo è che la nuova linea della storica band norvegese si è ben delineata fin dallo shockante – e brillante, perché no – singolo di Canadian Metal, che nella sua bizzarrie aveva fatto sorridere buona parte degli ascoltatori e inarcato il sopracciglio di una vasta folla che non riusciva a capire cosa stesse succedendo ai due colossi del true norwegian black metal.

La filosofia dei neo-Darkthrone nasce nello stesso luogo in cui era nata nel lontano 1986: le sterminate foreste norvegesi, ma in questo millennio viste con un’altra ottica. Laddove negli anni ’80 erano una distesa di dita scheletriche che si tendevano, appuntite e sferzate dagli elementi, verso una gelida luna piena, in questo periodo inaugurato da The Cult is Alive si tramutano in solenne dimora per il vagabondo del corpo e dello spirito.
I due ex-ragazzi di Kolbotn devono aver trascorso gli ultimi anni tra gavette di peltro e tende di fustagno lungo i sentieri corrugati del Vestland a sbronzarsi sulle rive di un lago o a riflettere a lungo al sole che tramonta.
Le foto a corredo del libretto degli ultimi due album, degne di un navigato boy scout, e tracce come “Hanging Out In Haiger” e “Norway in September” sono un vero anatema della sociopatia e dell’isolazionismo tipici di chi è fucking black metal inside, di chi andando avanti cerca di tornare indietro agli albori del genere più oscuro del creato, dominati dallo sfrontato marciume di band come Sarcofago o Venom.

Dark Thrones and Black Flags puzza di birra, di sudore, di jeans stracciati, di fumo stantio, di umido, di legna bruciata e di linfa a grumi. La vera sublimazione dello stramaledettissimo black metal quando ancora doveva tutto al thrash e che sterza pericolosamente verso il punk laddove la struttura musicale, asciutta come si conviene ai Darkthrone new generation, non riesce a supportare i suoni grassi e volgari di band simbolo del “fuckin’ rocker style” come i Motörhead, per i quali Fenriz nutre un amore quasi viscerale.
Già perché la tracklist del disco-contenitore “Fenriz Presents”, che conteneva tutte le tracce preferite del navigato batterista, era davvero un tutto dire: alcuni brani immarcescibili, alcuni incomprensibili e molti, moltissimi richiami a quel thrash black sguaiato promosso con talento dal compianto Quorthon nei suoi Bathory.
Questo nuovo Darkthrone è un seguito abbastanza lapalissiano del suo predecessore, con qualche scintilla in più che non può non far piacere. La sala di registrazione è riuscita a catturare in maniera cristallina il lerciume e il disincanto della batteria di Fenriz, qui decisamente poco ispirata, e la voce fastidiosissima ed eccessivamente alta del suo compare che vanifica in un sol colpo le speranze di chi si attendeva un album asettico e pulito in stile 2008.

Il mischione ormai consolidato tra il thrash-black e la violenza Motörheadiana brilla dell’ironia e della strafottenza tipiche di chi impugna il coltello dalla parte del manico: la stessa title track è un brano stanco e sconclusionato che passerà probabilmente alla storia come una delle title-track meno incisive del black metal. Eppure evidentemente è questa la filosofia dei Darkthrone: ti sembra thrash? “Fuck you”. Ti sembra black? “Fuck you”. Ti sembra punk? La risposta è sempre “Fuck you”. I Darkthrone trascendono da ogni etichetta e suonano di getto ciò che passa nella testa di ogni ultratrentenne nostalgico. Dark Thrones and Black Flags è METAL. Metal di quello fottuto che la gente sembra aver riposto in un cassetto insieme alla giacca di jeans smanicata e ricoperta di toppe di Alice Cooper, Thin Lizzy, AC/DC e naturalmente foderata dal bel caprone strabico di Bathory.
Nocturno Culto ovviamente fa di tutto per strumentare e blaterare un tributo il più possibile fedele a quella old school obliterata dal nuovo black tecnico e feroce di cui loro sono in ogni caso stati artefici insieme a tanti connazionali: i Darkthrone sono una serpe che cerca di mordersi la coda e ci riesce con una classe – o stupidità – che certamente farà chiacchierare a lungo.
Le battute punkeggianti e le urla disarticolate di “Hiking Metal Punks” riescono a fare a pugni con un pregevole assolo che racchiude la grande novità di quest’album: un songwriting spontaneo ma sorprendentemente curato. Non mancano spunti riflessivi notevoli come la micidiale “Witch Ghetto“, sempre martoriata dalla voce sparata di Nocturno Culto ma accompagnata da riff compatti, ben modulati, che si attaccano facilmente al cervello e trascinano l’ascolto con notevole coerenza. Interessanti gli stacchi tremendamente old school di “Norway in Winter“, giri di chitarra che spopolavano nelle sale da concerti americane dei tardi anni ottanta e che rinsaviscono, marci e opachi, in un disco fortemente estemporaneo.

A questo punto il quadro è chiaro, come è chiara l’impossibilità di giudicare lucidamente un disco del genere. Gli intransigenti lamenteranno che i Darkthrone sono morti a Sardonic Wrath, gli oltranzisti li vorranno morti a Panzerfaust e i puristi assoluti, che probabilmente si cibano ancora di carne cruda, li vorranno morti a Under a Funeral Moon. Il problema è che questi Darkthrone, in un certo senso, sono un cadavere che si è levato in un terreno che precede di gran lunga Soulside Journey. Questo disco, idealmente, non avrebbe fatto una piega ai tempi dell’uscita di The Return…, se non fosse che i suoni sono di gran lunga troppo perfetti e definiti per una progenie Bathoriana.

Dark Thrones and Black Flags dividerà profondamente i fans come accaduto per i due predecessori: farà illuminare una lampadina nella testa di chi ha molti inverni alle spalle, e farà masticare chiodi a chi associa ancora il nome Darkthrone alle sfuriate gelide che hanno reso la band famosa ai quattro angoli del mondo.
Alla fine tutte le band hanno diritto di evolversi a loro piacere: non tutte fanno la fine di Dødheimsgard, Arcturus, Solefald, Ulver e simili; alcune scelgono altre strade, oppure scelgono di tornare indietro, molto indietro, a ricercare ciò che considerano la vera essenza della propria ispirazione.
Tanto non era un segreto per nessuno che sia Fenriz sia Nocturno Culto fossero fan sfegatati dell’old school. È evidentemente giunta l’ora di lasciargli fare quello che desiderano: la storia li consegnerà agli allori o ai rovi, e comunque a loro probabilmente non fregherà nulla, anche se in una recente intervista, il signor Skjellum ha ammesso di non aver avuto troppo tempo per comporre e promette che l’album successivo sarà un po’ più ragionato.
Sarà vera gloria?

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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TRACKLIST:

01. The Winds They Called The Dungeon Shaker
02. Oath Minus
03. Hiking Metal Punx
04. Blacksmith Of The North
05. Norway In September
06. Grizzly Trade
07. Hanging Out In Haiger
08. Dark Thrones And Black Flags
09. Launchpad To Nothingness
10. Witch Ghetto

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