Recensione: Dark Worlds Collide

Di Stefano Usardi - 19 Dicembre 2016 - 9:30
Dark Worlds Collide
Band: Berserker
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2016
Nazione:
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62

Non fatevi ingannare dal logo incomprensibile e dal monicker intimidatorio: i lituani Berserker non si dedicano ad un marcio e brutale black metal, e questo “Dark Worlds Collide”, loro esordio discografico, lo dimostra. Nati a Vilnius nel 2009, i nostri propongono un metal molto melodico e dalle forti connotazioni sinfoniche, spruzzato qua e là di atmosfere ora folk ora gotiche, col classico e consolidato ricorso a due voci: femminile pulita/maschile in growl-scream.

Dopo la doverosa intro sinfonica, volta a creare atmosfera, si parte con la title-track, il cui incipit sembra preso da “Astronomicon” dei Without Face. L’ingresso in scena della voce femminile, per la verità, è tutt’altro che memorabile, complici anche delle linee melodiche un po’ forzate, ma già da qui si nota come la voce di Agnieška non abbia la classica impostazione eterea e liricheggiante già sentita mille volte, ma si mantenga su registri più bassi, accostabili alla proposta di gruppi come Cruachan (più volte durante l’ascolto di questo “Dark Worlds Collide” mi è tornato alla mente il loro “Pagan”) e Fferyllt. Procedendo con l’ascolto si assiste a una rapida correzione del tiro fino a confezionare una traccia nel complesso delicata e ammaliante la quale, nonostante una certa ripetitività, proprio grazie alla voce delicata di Agnieška (il growl compare solamente durante il ritornello per qualche sporadico e brevissimo contrappunto) acquista un incedere quasi ipnotico.
La successiva “Warhell” viene introdotta da rumori di battaglia su cui si innesta una rullata marziale, via via arricchita dall’ingresso in scena degli altri strumenti che poi si lanciano in un brano più movimentato dell’opener, rallentato solo durante il ritornello più pomposo. Finalmente iniziano a sentirsi le chitarre, che riescono a ritagliarsi il loro spazio pur restando relegate per la maggior parte del tempo in un angolo al servizio di flauto e tastiere.
Proprio il flauto è protagonista della traccia successiva, “Madness Machine”, accogliendoci fin dall’inizio e volteggiando sinuoso in tutte le parti strumentali del brano, ottimamente sorretto dalle chitarre che, sebbene anche qui sacrificate in favore della causa, sono se non altro più presenti ed in grado di dire la loro. “Day Human Died” vede il ritorno in grande stile del vocione di Kšištof che, complice anche il piglio aggressivo della canzone, si appropria del microfono per fungere da seconda voce pura, contendendosi il ruolo di protagonista con la bella Agnieška: perfino le tastiere passano qui in secondo piano per consentire alla coppia di chitarre di spadroneggiare in piena libertà, al seguito delle urla abrasive di Kšištof che si impossessa famelico del finale.
Un arpeggio malinconico introduce “Wolf”, ballata sognante dalle melodie forse un po’ troppo canoniche ma sicuramente efficaci, irrobustite da una sana dose di power chord durante il ritornello e l’assolo carico di feeling. La traccia, nonostante un minutaggio abbastanza corposo, non stanca ed anzi scorre senza problemi, cullando l’ascoltatore con melodie suadenti e un approccio di Agnieška sempre raffinato.
La successiva “Prelude” è, come si evince dal titolo, un semplice e abbastanza superfluo preludio atmosferico alla più briosa “Viking Ship”, anch’essa introdotta dalle note di flauto che mi ricordano a modo loro la melodia di una celebre canzone di Sting. La canzone è molto più folk-oriented rispetto al resto dell’album, con melodie e ritmiche che si fanno danzerecce nella parte centrale, prima di abbandonarsi all’assolo più vorticoso e rallentare poi bruscamente in vista della classica alzata di tono finale.
Chiude l’album “Mūšis Už Žemę”, un altro brano molto folk, cantato stavolta in madrelingua, che potrebbe fungere da perfetto biglietto da visita della band: tutti gli elementi finora descritti, infatti, si mescolano ottimamente per creare una canzone godibile e molto coinvolgente.

Alla fine di questo “Dark Worlds Collide” si ha la sensazione che questi baldi lituani abbiano confezionato un album discreto e strutturato, seppur non particolarmente originale. Con un pizzico di coraggio e personalità in più e una limatina qua e là e potrebbero iniziare a dire la loro. Di certo non si tratta di un album da headbanging furioso: non è pensato per quello, quanto più per fungere da colonna sonora a una serata tra amici o anche da soli, per rilassarsi e distendere i nervi dopo una giornata pesante. Nel complesso un ascolto se lo merita tutto.

Stefano Usardi

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