Recensione: Darkly, Darkly, Venus Aversa

Di Alessandro Calvi - 26 Ottobre 2010 - 0:00
Darkly, Darkly, Venus Aversa
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Anno: 2010
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Il contratto con la Peaceville Records è stato visto, da molti fan dei Cradle of Filth, come l’intenzione di ritornare a un sound meno commerciale e più ricercato. Di certo “Goodspeed On the Devil’s Thunder” è stato un buon viatico in questa direzione, rispolverando dei vampiri inglesi che non si sentivano da diversi anni. La diffusione di alcuni brani in anteprima (che non si son potuti giudicare appieno perchè disponibili solo per poco tempo) e, soprattutto, del video di “Forgive Me Father (I Have Sinned)” (questo, invece, rimasto pure troppo a disposizione) ha, però, decisamente raffreddato le aspettative dei fan. Ecco giunto il momento di fare, finalmente, un po’ di chiarezza su questo nuovo “Darkly, Darkly, Venus Aversa”.

Fin dalla copertina (evocativa, ma non eccezionale, che mi ricorda per stile una Natalie Shau non in pienissima forma), è chiaro il tema di questo nuovo disco. Dopo il concept su Gilles De Rays, luogotenente di Giovanna d’Arco e demonologo, considerato da molti uno dei primi serial-killer della storia, questa volta tocca a Lilith.
A seconda della tradizione o della cultura a cui si fa riferimento, Lilith incarna, di volta in volta, ruoli differenti. Secondo alcuni scritti della cabala ebraica fu la prima sposa di Adamo. Creata da Dio dal nulla, quindi uguale all’uomo, decise di non sottomettersi al maschio. Per questo motivo venne scacciata e, da una costola di Adamo, venne creata Eva, per cui a lui inferiore (seguendo questa idea Lilith è anche divenuta, in alcuni casi, simbolo del femminismo). Secondo altre credenze Lilith è una succube o un demone vampiro in forma femminile (con ali di libellula e piedi di rapace) con una predilezione per i bambini appena nati, che giustificava le frequenti morti nella culla dei primi giorni di vita (e anche all’origine del mito della Lamia greca).
Un concept interessante, quindi, ricco di riferimenti storico-culturali, che i Cradle of Filth narrano grazie a una storia che si snoda attraverso i secoli, come già era avvenuto ai tempi di “Damnation and a Day”.

Sotto il profilo musicale l’album era stato presentato, dallo stesso Dani Filth, con queste parole: “senza dubbio il disco più veloce e brutale che abbiamo composto da molto tempo”. Di certo “Forgive Me Father (I Have Sinned)” sembrerebbe smentire in maniera categorica queste parole con una canzonetta easy-listening, un coretto orecchiabile come ritornello e chitarre decisamente poco incisive. Un brano più adatto alla parentesi commercial-pop di “Nymphetamine” e “Thornography” che al nuovo corso che sembrava volessero intraprendere. Per fortuna di tratta di un caso isolato (così isolato da apparire, per songwriting o anche solo suono degli strumenti, quasi appartenente a un altro CD) e del punto più basso di un album che, per il resto, si mantiene su livelli differenti.
“Darkly, Darkly, Venus Aversa” non è un capolavoro, ma mantiene abbastanza fede alle parole con cui è stato presentato da Dani Filth, il che è già qualcosa. Dopo una breve introduzione recitata da una voce femminile profonda e impostata (che si presenta come Lilith, la protagonista del concept), accompagnata da un sottofondo di clavicembali e di atmosfere horror, si scatenano chitarre, basso, batteria e tastiere. L’effetto è quello di una vera e propria esplosione di musica, un attacco sonoro che, da parte dei Cradle of Filth, non sentivamo da diverso tempo. “The Cult of Venus Aversa” si presenta subito come un buon brano, aggressivo e orecchiabile, veloce, violento, con la caratteristica  di un occhio alla melodia come nella migliore tradizione del gruppo inglese e con un paio di intermezzi quasi ambient, narrati, quasi immancabili nei pezzi migliori dei Cradle of Filth.
La ricetta è, ormai, conosciuta. Accelerazioni black, accenni al thrash nel riffing, tastiere orchestrali che tessono melodie dai chiari riferimenti alle colonne sonore dei film horror (in questo un plauso alla scelta della nuova tastierista, che non fa per nulla rimpiangere il passato), la voce di Dani che alterna il suo caratteristico scream (ormai sempre più limitato) a passaggi più bassi e a tratti quasi sussurrati, oltre alla voce femminile, sempre profonda e sensuale, il più delle volte solo parlata e non cantata.
L’inizio è dei migliori e il proseguo sembra mantenersi sulle stesse coordinate. Le canzoni si susseguono in maniera convincente, coinvolgendo l’ascoltatore grazie alla ricetta già messa in luce per la prima traccia. Proprio la struttura delle canzoni non differisce poi molto, rimanendo fedele a un songwriting ormai consolidato in anni e anni di esperienza. Se da una parte è un vantaggio, presentando certamente dei pezzi di buona qualità e senza squilibri evidenti o una spiccata mancanza di ispirazione, dall’altra manca un po’ quella tendenza di Dani e soci a stupire. Nessuna suite di dieci e passa minuti, nessun intermezzo esclusivamente atmosferico (solo qualche breve passaggio all’interno delle canzoni), o il tentativo di fare qualcosa di completamente nuovo come agli inizi di carriera.
Tutt’altro che un male se gli esperimenti rispondono ai nomi di “Forgive Me Father (I Have Sinned)”, o vanno nella direzione di “Nymphetamine” e “Thornography”, ma la sensazione è comunque di un compito eseguito leggermente al di sotto delle proprie potenzialità. In questo panorama, quindi, non meraviglia che spicchino proprio le canzoni dalla durata più lunga: “The Cult of Venus Aversa” e “Beyond Eleventh Hour”, guarda caso piazzate in apertura e chiusura del disco, come le tracce che sembrano rischiare (e di conseguenza dicono) qualcosa in più.

“Darkly, Darkly, Venus Aversa”, decimo studio album dei Cradle of Filth, sembra presentarsi davvero, così come era stato presentato, come un ritorno dei vampiri inglese a ciò che erano fino a qualche anno fa. Il percorso iniziato con “Godspeed On the Devil’s Thunder” prosegue, con questo nuovo tassello della discografia, verso il riappropriarsi di un angolino di tutto rispetto nel genere estremo. Non siamo ancora al livello di certi capolavori del passato, per quello sarebbe stato necessario fondere insieme questo e il CD precedente, ma la strada sembra quella giusta. Una gradita conferma, quindi, per alcuni fan e un buon ascolto per tutti gli altri, certi che un capolavoro sia ancora possibile e che, dati questi presupposti, possa non essere troppo lontano, se lo si volesse.

Tracklist:
01 The Cult of Venus Aversa
02 One Foul Step from the Abyss
03 The Nun with the Astral Habit
04 Retreat of the Sacred Heart
05 The Persecution Song
06 Deceiving Eyes
07 Lilith Immaculate
08 The Spawn of Love and War
09 Harlot on a Pedestal
10 Forgive Me Father (I Have Sinned)
11 Beyond Eleventh Hour

Alex “Engash-Krul” Calvi

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