Recensione: Darkness

Di Daniele D'Adamo - 14 Marzo 2010 - 0:00
Darkness
Band: Hell-Born
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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70

«Technical death: cos’è questo?».
È la domanda che, evidentemente, si devono esser posti gli elementi degli Hell-Born, rabbiosa band polacca che propina una scellerata mistura black/death dalla rigorosa matrice primordiale.
Formata da elementi d’eccellenza che hanno militato o militano nei Behemoth, Vader, Crionics; piombano sulle nostre collottole con il loro sesto full-length: “Darkness”.

L’apprezzamento sullo stile del trio non deve fuorviare: Adam “Baal Ravenlock aka Raven” Muraszko, Leszek “Les” Dziegielewski e Pawel “Paul” Jaroszewicz hanno dalla loro sia l’esperienza che la tecnica. Facile quindi che si voglia picchiare duro e basta, senza sofismi di sorta, per soddisfare il desiderio di divertirsi senza pensarci troppo su.
Evitando di entrare nel merito del perché la Polonia sia una terra così feconda per il death, non si può sorvolare invece sul fatto che in qualsiasi modo s’intersechino i musicisti specializzati per metter su progetti diversi, questi ultimi raramente falliscono il colpo.
Ed è – anche – il caso dei Nostri.

Dopo lo scarno incipit, “Refuse to Serve” rade al suolo tutto e tutti. Non aspettatevi velocità da brivido: si può essere micidiali anche con ritmi meno estremi, quando rabbia e determinazione sono ai massimi livelli.
Il mood dipinge tinte fosche, oscure; rappresentative di uno stato interiore dominato dalla frustrazione. Le parti di chitarra sono quelle che colpiscono più direttamente, con il loro riffing lineare e incessante. Su queste tessiture che rimandano a sulfurei paesaggi infernali, l’erculea voce di Ravenlock si erge alla testa d’ipotetiche orde di furibondi demoni.
La forte interpretazione metaforica della musica dei ragazzi di Sopot dimostra per l’appunto che non occorre per niente alambiccare la materia cerebrale per riuscire a generare un’atmosfera così spessa che si possa toccare con mano.

Capaci di farlo, gli Hell-Born si gettano a capofitto nel vorticoso mulinello della velocità estrema con “(I Am) The Thorn in the Crown”, dove Paul spinge a fondo con i blast beats assieme alle chitarre che si dimenano in laceranti guitar-solo.
“Curse Me and I Win” è da segnalare per l’assassino break rallentato (il riff ricorda – al sottoscritto – i Necrodeath pre-1999), così ben cadenzato da svegliare anche dalla catatonia. Preparate muscoli e tendini del collo per una dura prova!
Gli agghiaccianti scenari che l’act riesce a evocare con intarsi ambient introducono alla perfezione il mid-tempo in doppia cassa di “Darkness”. L’interpretazione di Ravenlock è cattiva come poche e si lega saldamente al riffing di slayeriana memoria.
“In Satan We Trust” mostra che il thrash è un ingrediente che ben si accoppia alla mistura citata all’inizio. Inquieta il lascivo duetto voce/basso a metà della song.
L’anonima “Submission fa poi da ponte per “The Black of Me”, quadrata, di media rapidità, con un desueto ritornello appena sussurrato.
Deciso alzo del tiro con “Hellfire”, rullo compressore destinato a spianare la strada per la conclusiva “Dead Don’t Preach” che, dal calderone mefistofelico, pesca un groove fedele sino al midollo alla vecchia scuola death.

Un album davvero godibile, “Darkness”: nessun punto di originalità, nessun sobbalzo sulla sedia per qualche trovata che possa inquinare il sound ignorante del combo che, sapientemente, si concentra specificamente sul tiro e sulla cattiveria, centrando in pieno l’obiettivo preposto.
Più che sufficiente, anzi: discreto!

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Track-list:
1. Refuse to Serve 4:50
2. (I Am) The Thorn in the Crown 4:25
3. Curse Me and I Win 4:30
4. Darkness 4:14
5. In Satan We Trust 5:25
6. Submission 4:56
7. The Black of Me 5:56
8. Hellfire 3:41
9. Dead Don’t Preach 4:51

Line-up:
Baal Ravenlock – Vocals & Bass
Les – Rhythm & Lead Guitars
Paul – Drums
Dino – Lead Guitar (Session member)
 

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