Recensione: Darkness Sustains The Silence

Di Vittorio Sabelli - 13 Gennaio 2014 - 0:07
Darkness Sustains The Silence
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2014
Nazione:
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75

 

Dalla terra dei laghi si affacciano sulla scena musicale gli Altar Of Betelgeuze”, band formata nel 2010 dal cantante/bassista Matias Nastolin, che si mette all’opera per portare la sua creatura a esplorare mondi intimi ma allo stesso tempo distanti, forgiando un sound acido che prende spunto dai primi Kyuss fino a toccare territori tanto doom quanto stoner, che uniti alla base death metal, risulterà un viaggio ricco di emozioni e sorprese.

E lo fa prendendo spunto dal titolo di questo primo full-length “Darkness Sustains The Silence”, dove i silenzi e gli spazi vuoti e minimalisti prendono forma tra le poche e ben congegnate note. Curiosità da prender nota, il disco è uscito il 1° gennaio, a distanza di un anno esatto della data di uscita del loro primo EP “At The Shrine Of Light”. L’etichetta che supporta questa interessante proposta è la spagnola Memento Mori.

La strumentale “Epitaph” è un tema che funge da introduzione e da premessa a quel che si troverà nei brani a seguire. Fin dalla successiva “A World Without End” ci troveremo di fronte a una band che riesce a creare dei riff semplici ma efficaci, che supportano in maniera ottimale la voce di Matias e i cambi di tempo. Il tutto rende il disco fruibile e l’intro di basso di “The Spiral Of Decay” con inserti spagnoleggianti è la riprova che la band è intenzionata a giocare duro (ma in maniera intelligente). “Steamroller” inizia con una sequenza di accordi accordi e un solo di chitarra che introduce un riff ancora una volta facilmente assimilabile ma allo stesso tempo non scontato, al quale la voce clean si aggiunge per non renderci schiavi dell’oscurità.

“Smoldering Clouds Above Orion” e “The Approaching Storm” costituivano già 2/3 dei brani del primo EP “At The Shrine Of Light”, presi in prestito (con qualche modifica) per l’occasione. I dieci minuti della prima iniziano con un lento tema paranoico ripetuto con l’aggiungersi progressivo dei vari strumenti fino a imprimersi ossessivamente, per poi lasciar posto a un solo di basso che porta a quello che è il brano vero e proprio con tanto di riff su una sola corda e la voce di Matias che sbraita dall’oltretomba. Non ci sono aperture, tutto resta avvolto nell’ombra e l’incedere pesante della band non lascia via d’uscita. “The Approaching Storm” ancora una volta vede i ritmi cadenzati che s’impossessano dell’aria, asfissiando l’ascoltatore. Questa volta la voce in clean di Otu lascia un minimo di speranze per il proseguo, anche se un nuovo inserimento di Matias rende oscuro il passaggio per un solo di chitarra che lascia svanire in fader il brano.  

“Out Of Control” si snoda su un mid-tempo che poco ha a che vedere con i brani appena ascoltati e una nuova prospettiva si apre, sempre con la voce pulita di Otu che si alterna durante le strofe con quello che è il suo alter-ego, il growl di Matias sotto forma di canzone vera e propria, che conduce verso la conclusiva title-track “Darkness Sustains The Silence”, che con i suoi diciassette minuti a questo punto risulta una vera e propria sfida per chi si imbatte in questo disco. Il ‘solito’ riff lento e processionale è pronto a mietere vittime, lasciando il campo a un semi arpeggio col quale il piatto ‘ride’ di Olkkola e la chitarra di Kareoja si intrecciano, ma solo per ossessionarci. La voce è grave e declamata prima di alternarsi con una sezione death metal marcia e putrida, sulla quale irrompe il solito Matias prima e un solo di chitarra poi, mentre lo scorrere dei minuti ci indica che nonostante la durata il brano si lascia andare. Ancora una nuova sezione ai limiti del più basso bpm possibile torna a far visita prima di una degna conclusione in perfetto death/stoner metal.

Buonissimo l’approccio da parte della band, che riesce a risultare interessante, nonostante la semplicità delle strutture e dei materiali usati. Evidentemente il gioco dei diversi colori vocali riesce a cambiare direzione all’atmosfera, così come l’uso alternato dei vari strumenti per l’esposizione dei tempi. Se proprio vogliamo trovare un difetto al disco sono i finali dei brani che spesso non risultano curati, ma può darsi che sia una scelta ‘imposta’ dallo stile. Noi non possiamo che goderci i colori degli Altar Of Betelgeuze e questo primo disco del 2014.

Vittorio “versus” Sabelli
 

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