Recensione: Dawn

Di Luca Palmieri - 6 Ottobre 2008 - 0:00
Dawn
Band: Thy Majestie
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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60

Avete presente Jeanne D’Arc? Ricordate ancora le epiche melodie di Hastings 1066? Ebbene, scordatevi tutto ciò. Dopo lo stravolgimento della line-up, il cambio di etichetta e i mesi di passione, i siciliani Thy Majestie tornano in scena con un album nuovo, la cui novità non è solo da ascrivere alla data di pubblicazione, ma soprattutto al nuovo sound creato. Una scelta rischiosa, visto che appena messo il dischetto nel lettore subito giungono rimandi alla mente di innumerevoli altre produzioni power degli ultimi tempi.

Ma prima di parlare del disco, ricordiamo qualche dettaglio degli ultimi tempi (che potete trovare anche nella intervista): nell’autunno dell’anno scorso, per diverse cause, della line-up classica della band rimasero in corsa solo Claudio e Dario, rispettivamente batterista e bassista. Dopo i consueti provini e audizioni, vennero fatti entrare nella band Dario Cascio al microfono, Simone Campione alla chitarra e Valerio Castorino alle tastiere; inoltre c’è stato un cambio di label, passando dalla blasonata Scarlet alla quasi sconosciuta Dark Balance.

Ma entriamo nello specifico del disco. Dawn consta di tre capitoli, Trapasso, Rovina e Vendetta, che si dipanano in dodici tracce per una durata totale di più di 50 minuti.

Il dischetto inizia con As you fall, brano veloce e dal chorus accattivante che può essere accostato, data la sua immediatezza e freschezza, a Maiden of steel o Warrior and King. Subito salta all’orecchio la mancanza della tipica magniloquente intro a fare da apripista all’album. Si prosegue con M.A.D., che parte con un potente riff sorretto da una tastiera pomposa e dalla doppia cassa per poi continuare sui binari di canonici di un qualsiasi canzone power metal; ben fatto il chorus, di ampio respiro e di una certa piacevolezza epica. Sfumando su arpeggi di pianoforte si passa alla seguente title-track strumentale, che parte decisamente male con un riff di chitarra stra-abusato che si ripete per tutti i quasi tre minuti di durata. A The hunt spetta la chiusura del primo capitolo; pezzo molto melodico, debitore dei Kamelot in più punti, con una buona sezione assoli. Of pain and disgrace apre il secondo capitolo (e la suite The Legacy) da dove s’era chiuso il primo, con arpeggi di piano che sfumano verso synth e un riff massiccio, per poi sfociare in una sezione quasi operistica che dà il via a To an endless devotion, brano decisamente speed e costruito su una base molto più aggressiva rispetto alle tracce precedenti. Piacevole l’intermezzo parlato che introduce la sezione assoli forse leggermente prolissa; si ritorna sul bridge e sul chorus, per poi passare alla successiva Inferis armata, secondo pezzo strumentale che riprende il riff della precedente canzone modificandone la ritmica e arricchendolo di ampie orchestrazioni. Two minutes of hate ricalca la prima parte del disco, col suo canonico incedere tipicamente power, anche se la marcata vena epica risolleva un po’ dalla sensazione di deja-vu. The Legacy è l’ultima strumentale dell’album e sicuramente quella più riuscita; la teatralità espressa nella prima parte del brano muta con un buon utilizzo del synth, il quale dona al pezzo una spruzzata vagamente prog, secondo una formula sovrapponibile ai recenti Vision Divine. A chiudere il secondo capitolo c’è un’altra canzone molto derivativa, Out of the edge; synth a farla da padrone, doppia cassa… Insomma, ci siam capiti. Day of the changes inizia con cori d’opera e orchestrazioni pompose, ancora un riff melodico e chorus sostenuto dalla doppia cassa e da chitarre smoderatamente aperte. Finale in fadeout, e si conclude il disco e l’ultimo capitolo con Through heat and fire, pezzo anomalo per la band nel quale costeggia lidi parecchio lontani dai suoi standard, la canzone tuttavia risulta parecchio articolata e ha probabilmente il migliore songwriting dell’album, ma a incrinare il brano fino a questo punto ampiamente gradevole ci pensa il chorus dove la voce di Dario viene passata al phaser per dargli un effetto non del tutto convincente che tanto ricorda i Bullet for my valentine.

Per quanto riguarda la produzione, è innegabile che il lavoro non sia di massima qualità. La batteria è in più frangenti molto impastata, il basso a volte sparisce e a volte risalta con un fastidioso suono metallico; buone invece le rese di chitarre, voci e tastiere (anche se i suoni sono decisamente canonici e poco si discostano da quanto abbiamo sentito decenni fa negli Stratovarius).

Decisamente un passo indietro per i ragazzi siciliani con questo Dawn. Dopo gli ottimi lavori Hastings 1066 e Jeanne D’Arc ci ritroviamo nel lettore un full-length parecchio anonimo; abbandonate le epiche pomposità del passato i nuovi Thy Majestie vanno a finire nel gigantesco calderone di band power estremamente derivative e senza fantasia. Non che Dawn sia un album da buttare, anzi la parte centrale dove maggiormente i nostri cacciano fuori gli attributi con sfuriate speed è di piacevolissimo ascolto; ma sull’altro piatto della bilancia ci sono brani come Out of the edge, Two minutes of hate e Through heat and fire che abbassano di molto la media. Peccato, perché rispetto al passato si nota una maggiore fluidità nelle esecuzioni, una maggiore maturità negli assoli e, in alcuni passaggi, un songwriting di prim’ordine. Manca il pathos, e si sente tantissimo. Per concludere, un album sufficiente, niente di più e niente di meno.

Luca “NikeBoyZ” Palmieri

Tracklist:

Chapter one: Trapasso – Exequies of the formal sphere
01. As you Fall
02. M.A.D.
03. Dawn
04. The Hunt
Chapter Two: Rovina – The neverending night
05. The Legacy Suite:
            Of Pain and Disgrace
            To an Endless Devotion * MySpace Music *
            Inferis Armata
            Two minutes of Hate
            The Legacy
06. Out the Edge
Chapter Three: Vendetta – A new Dawn
07. Day of the Changes * MySpace Music *
08. Though Heat and Fire

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