Recensione: Dead Harvest

Di Fabio Vellata - 1 Febbraio 2009 - 0:00
Dead Harvest
Band: This Ending
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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69

Acre, corrosivo, oscuro e velenoso. “Dead Harvest”, secondo capitolo discografico degli svedesi This Ending, non è di certo quel che si definirebbe un album accomodante e rilassato.

Non potrebbe essere diversamente, del resto. “La colonna sonora di un mondo in decadenza” è, infatti, il non troppo benaugurate slogan scelto dal gruppo scandinavo per descrivere, nello spirito e nelle intenzioni, l’essenza della nuova fatica musicale, coacervo di suoni ruvidi e caliginosi, in cui le scintille d’ottimismo e gli sprazzi di positività, sono rari ed isolati come bagliori di luce nella più buia delle notti.
Sentimenti estremi ed immagini di devastazione, rappresentati musicalmente in una serie di brani neri come la pece e dall’incedere il più delle volte arcigno e severo. Coordinate di certo molto vicine al classico death di scuola nordica – che pure talora non disdegna assalti ritmici di evidente richiamo black, divagazioni soliste dal taglio maggiormente raffinato ed impennate thrash – in un complesso, che riesce nell’intento di trasmettere sensazioni di funesti presagi ed auspici di grigia sventura.

Plumbei e decadenti, i This Ending incappano tuttavia in un inconveniente nemmeno troppo complicato da comprendere e descrivere. La monotonia.
Molte buone idee, suoni sinceramente ottimi, prestazioni strumentali di prim’ordine (da sottolineare senz’altro, la notevole prova dell’Amon Amarth Fredrik Andersson, alla batteria) sono note positive che tuttavia, in alcuni frangenti si vedono fiaccate da un alone palpabile e robusto di staticità e pesantezza, aspetto probabilmente funzionale nella confezione delle tematiche, ma alla lunga un goccio indigesto e dagli effetti deprimenti.

Una distinzione che si rende significativa anche nei numeri e nelle posizioni in scaletta, quasi a voler mostrare una sorta di Side A, la migliore e Side B, la più perfettibile, della proposta del quintetto nordico.
Se da un lato dunque, si rendono apprezzabili le interessanti evoluzioni di brani come “Traces of Sin”, “Parasites”, “Machinery”, “Instigator of Dead Flesh” e “Dellusionist”, capaci di mettere sulla bilancia qualità notevoli in termini d’impatto, ricchezza di particolari (dai blast beats, agli accenni industrialoidi) e coinvolgimento, dall’altro, episodi quali “Army Of The Rising Sun”, “Tools Of Demise”, “Deathrade” e “Dead Harvest”, non colpiscono del tutto nel segno per dinamismo e vivacità, spegnendosi su cadenze un po’ scontate e non sempre in grado di catturare l’attenzione come dovuto.

Il risultato è un album altalenante – in questo affine al predecessore ”Inside The Machine” – senza dubbio non di scarso profilo o etichettabile come malriuscito, ma purtroppo incapace di elevarsi in modo netto ed assoluto da quella massa continua e perpetua di nuove proposte che il mercato di settore propone mensilmente.
Gli spunti appaiono notevoli, le tematiche ad effetto e le potenzialità indiscutibili. Manca una maggiore omogeneità e qualche pezzo davvero superiore, in grado, in altre parole, di rendere l’offerta memorabile.

Non male ad ogni modo, anche se, data l’esperienza dei soggetti in campo (giova ricordare che i musicisti coinvolti, prima di costituirsi come This Ending nel 2005, erano noti sin dagli albori degli anni novanta come A Canorous Quintet), pareva lecito attendere un ulteriore passo in avanti ed un prodotto di maggiore efficacia.

Consigliato ai pessimisti, a chi è costantemente di cattivo umore e a chi, immaginando un paesaggio di rovine e decadenza, non può fare a meno di percepire un sottile e sinistro sussulto d’attrazione.

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Tracklist:

01. Trace of Sin
02. Parasites
03. Machinery
04. Instigator of Dead Flesh
05. Dellusionists
06. Army of the Dying Sun
07. Dead Harvest
08. Tools of Demise
09. Deathtrade
10. The Asylum

Line Up:

Mårten Hansen – Voce
Leo Pignon – Chitarra
Linus Nirbrant – Chitarra
Jesper Löfgren – Basso
Fredrik Andersson – Batteria

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