Recensione: Dead Heart in a Dead World

Di Alessandro Calvi - 10 Novembre 2001 - 0:00
Dead Heart in a Dead World
Band: Nevermore
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
90

(recensione modificata il 29-10-2008)

A poca distanza dal precedente “Dreaming Neon Black” che ben aveva fatto parlare di sè e, purtroppo, con un chitarrista in meno (Tim Calvert ha lasciato la band per l’incompatibilità tra la sua vita privata e i ritmi di lavoro sempre più alti dati dall’accresciuta popolarità del gruppo), i Nevermore tornano sulle bocche della gente. Lo fanno con un album che, ben lungi dal volersi “sedere sugli allori”, fa segnare una ulteriore evoluzione nel sound e nella classe della band di Seattle.

Parlando chiaramente: siamo di fronte a un disco destinato a passare alla storia del metal. Già con i lavori precedenti ci avevano abituati a una qualità delle canzoni superiore alla media, ma con questo “Dead Heart in a Dead World” sembrano aver superato se stessi.
Ad aprire le danze troviamo un brano coinvolgente, veloce, dai riff granitici e dalla batteria terremotante come “Narchosyntesis”. L’inizio è di sicuro impatto, ma i Nevermore ci hanno abituato troppo bene in questi anni per pensare che questo sia un brano semplice. Difatti ben presto si parte con i cambi di tempo, le architetture che tanto assomigliano al prog e tutto il repertorio che ha fatto grande questo gruppo. In questa canzone cominciano a fare capolino anche alcuni elementi che ci accompagneranno per tutta la durata del disco. Mi riferisco in particolare ad alcuni effetti melodici e a una atmosfera decadente, che a tratti potremmo definire gothic, quest’ultima data in particolare dalla voce.
Proprio la voce è al centro della successiva “We Disintegrate” in cui Dane regala una delle migliori prestazioni del cd. Appassionato, eclettico, triste, evocativo, disperato. Con la voce riesce a rendere perfettamente tutti questi stati d’animo nell’ascoltatore. Da non dimenticare, ovviamente, anche l’apporto degli strumenti, tra cui spicca, quasi inaspettatamente, un pianoforte in grado di intessere melodie che colpiscono particolarmente.
Pesante, ritmicamente sincopata, uno dei pezzi più aggressivi del lotto, è la terza “Inside Four Walls”. Dane ricorre a tratti anche a brani di voce sintetizzata e campionata, quasi dal sapore nu metal, ma ciò che stupisce in particolare è l’affiatamento dei musicisti. Il risultato è che intrecci di chitarre, assoli, basso e batteria, appaiono qualcosa di semplicissimo e perfettamente armonizzato pur nella loro difficoltà.
Con “Evolution 169” emerge chiaramente quella che potremmo definire come l’anima gothic di questo disco. Le atmosfere si fanno più decadenti e tutto, dai riff, al cantato, fino ai tempi dettati da batteria e basso, sembrano rallentare. Il risultato è una melodia che, pur essendo sempre in costante evoluzione e cambiamento, non perde mai l’aura depressa che la contraddistingue.
Tra tanti capolavori capita anche che un brano che sia solo ottimo, sembri brillare meno degli altri. È il caso di “The River Dragon has Come”. Se fosse stato scritto da qualcun altro ora saremmo qui a elogiarlo, tra queste canzoni invece spicca come la traccia forse più semplice, quella scritta per allungare la scaletta.
Parlando di capolavori come non parlare di “The Heart Collector”, prima di due semi-ballad che riesce a coniugare melodia e chitarre al vetriolo. Un’altra delle migliori interpretazioni di Dane al microfono, ma anche un brano intriso di tristezza che tocca le corde dell’anima dell’ascoltatore come pochi pezzi son in grado di fare.
Dopo averci letteralmente commossi, i Nevermore decidono di shockarci. Ecco quindi un duetto di canzoni che prendono letteralmente a pugni in faccia l’ascoltatore. La prima è la terremotante e violentissima “Engines of Hate” (e con un titolo così cosa ci si poteva aspettare), un brano che richiede assolutamente un headbanging sfrenato. La seconda è una cover decisamente fuori dagli schemi. Pochi infatti si aspetterebbero che una song come la classicissima “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel, possa diventare un pezzo così potente e devastante. Da ascoltare.
Ci avviamo quindi verso la conclusione e un trio di brani che mi sento di considerare quasi una canzone sola. Parliamo di “Insignificant”, seconda semi-ballad del cd, altrettanto commovente e coinvolgente della precedente. Capace di essere al contempo dolce e cattiva, creando uno dei ritornelli più aggressivi del cd quasi dal sapore death.
“Believe in Nothing” è, senza mezzi termini, la canzone più bella dell’album e da sola potrebbe quasi giustificarne l’acquisto. Qui le capacità compositive della band di Seattle raggiungono l’apice con fraseggi complessi ed eleganti, continui cambi di tempo, di stile e di sound. Tutto senza perdere neanche un attimo di vista la melodia, riuscendo nel difficile compito di essere una delle tracce più complesse e al contempo orecchiabili del cd.
A chiudere, infine, la titletrack. “Dead Heart in a Dead World” inizia come una vecchia registrazione rovinata con la sola voce di Dane accompagnata da una chitarra acustica e il fruscio della puntina che sfrega sui solchi del 33 giri. Poi si scatena la violenza. Le chitarre, il basso e la batteria fanno irruzione con un riff veloce e potente da far tremare le orecchie. Il resto ce lo possiamo immaginare: assoluto stupore di fronte alla bravura di un gruppo che farà storia.

In conclusione un album di sicuro valore che potrà convincere sia gli appassionati che coloro che non hanno mai sentito nulla di questo gruppo. I Nevermore piazzano il disco che tutti sognano di fare, quello capace di stupire tutti, di infilarsi nel lettore e non uscirne facilmente, di far parlare la gente anche a distanza di anni e segnare per sempre un genere.

Tracklist:
01 Narchosyntesis
02 We Disintegrate
03 Inside Four Walls
04 Evolution 169
05 The River Dragon has Come
06 The Heart Collector
07 Engines of Hate
08 The Sound of Silence
09 Insignificant
10 Believe in Nothing
11 Dead Heart in a Dead World

Alex “Engash-Krul” Calvi

Discutine sul forum nel topic apposito!

Ultimi album di Nevermore