Recensione: Dead Man’s Voice

Di Carlo Passa - 8 Maggio 2016 - 9:00
Dead Man’s Voice
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
77

La Germania non produce solo power metal; e questo lo sappiamo bene. Ma i The new Roses sembrano davvero tutto tranne che tedeschi. I modelli cui la band continua a rifarsi anche in questo suo secondo disco restano i grandi dell’hard rock ottantiano venato di blues di matrice statunitense: su tutti i Quireboys e i Cinderella.
Sapore di anni ottanta, dunque, ma ben lungi dai colori del Sunset Strip, preferendo invece groove e calda ruvidità dei suoni.
I riferimenti dei The New Roses sono alti, eroi di tempi lontani e, anche in virtù di questo, oggi trasformatisi in mito. Tuttavia, la band di Wiesbaden riesce ad uscire benissimo dal confronto che il recensore non può non fare con Tom Keifer e compagnia bella. E la ricetta è semplice: saper scrivere bei pezzi. Dead man’s Voice ne include a bizzeffe, mostrando pochi cali d’intensità lungo la propria durata e, anzi, presentando una lodevole varietà di atmosfere e sonorità.
L’apertura del disco è affidata alla scoppiettante Head or Tails, che ibridizza benissimo i Cinderella più sbarazzini di Heartbreak Station con i Faster Pussycat meno glamour. Sulla medesima linea è Thirsty, scelta non a caso come singolo trainante grazie soprattutto a un chorus che sa essere semplice senza scadere nel banale.
Partner in Crime è un po’ più modernista, richiamando i Black Stone Cherry. Egualmente si può dire di Dead Man’s Voice, che ha un’impronta generale vagamente Nickelback. Ecco, laddove i The New Roses riescono meglio è proprio nel confronto con i modelli più lontani, mentre quando si accorgono di essere nel 2016 non sanno emergere più di tanto dalla massa indistinta, incastrandosi in un post-grunge di inizio millennio che è davvero poca cosa.
In questa prospettiva, I Believe è un pezzo vincente che, pur ricordando lo Slash più recente, non commette l’errore di voler suonare contemporanea e si accontenta di sopravvivere in una fumosa stanza dove il passato è vivissimo.
All’opposto è Ride With Me, davvero troppo Nickelback. Per carità, la canzone è ben scritta e si ascolta volentieri: ma ne abbiamo abbastanza di queste chitarre distorte posate su melodie poco incisive.
Ed ecco che Timmy Rough si trasforma in Spike (Quireboys), il quale sembra comparire tra i solchi di Dead Man’s Voice nella bella Hurt Me Once (Love Me Twice): e la memoria torna a un lontano Monsters of Rock bolognese, quando la band americana fece divertire migliaia di (oggi un po’ attempati) rocker in attesa di Aerosmith e Whitesnake.
A seguire arriva Not From This World, che non lascia il segno. Invece, What If It Was You è una buona ballad, benché ovviamente perdente nel paragone con le originali degli anni ottanta.
Try (And You Know Why) si pone a cavallo tra gli Aerosmith e gli L.A. Guns, riuscendo a non sfigurare nell’impari confronto. A chiudere, From Guns & Shovels è un bel mid tempo pieno di groove, aggressivo e melodico quanto basta.
Dead Man’s Voice è un ottimo disco, ricco di sfumature e pezzi di qualità. Come detto, i The new Roses rischiano grosso a volersi mettere in competizione con band che, trent’anni fa, ebbero la buona sorte di trovare l’humus ideale a supporto della propria ispirazione artistica. Oggi, quel terreno non è più così fertile, ma i risultati di quegli anni sono stati tali che ancora nel 2016, in mezzo all’Europa, c’è una band capace di richiamare suoni così cari a tanti di noi.

 

Ultimi album di The New Roses