Recensione: Dead Reckoning

Di Riccardo Angelini - 2 Aprile 2007 - 0:00
Dead Reckoning
Band: Threshold
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

Fino a oggi non hanno sbagliato un colpo. E per gente che di studio album alle spalle ne ha già sette, non è poco. Non solo: contrariamente a ciò che accade fin troppo spesso per molte band, le quali dopo aver raggiunto un certo successo con i primi lavori finiscono per ripetersi o svendersi o entrambe le cose, loro – fedeli a se stessi – hanno continuato a crescere e a evolvere e a migliorare incessantemente. Passo dopo passo, album dopo album, si sono conquistati la meritata credibilità. I tre full-length realizzati nel nuovo millennio – “Hypotetical”, “Critical Mass”, “Suburface” – hanno le carte in regola per essere ricordati tra venti o trent’anni come classici del progressive metal. Eppure in qualche modo permane la sensazione che abbiano raccolto meno di quel che avrebbero meritato. È veramente così?

Loro, i Threshold, non se ne curano e vanno vanti. Un nuovo contratto, un nuovo album, una nuova sfida. “Dead Reckoning” non si adagia sugli allori di un sound già collaudato – “Dead Reckoning” non è un “Subsurface II”. Avrebbe potuto esserlo, e forse qualcuno avrebbe preferito così. Ma non è in questo modo che si fa l’arte, non è dai compromessi che nascono i capolavori. E “Dead Reckoning” non vuole essere nulla di meno del predecessore.

Pronti, via. Non siete ancora preparati ad accoglierlo, ma già il riffing prepotente di “Slipstream” si lancia contro la porta ancora semichiusa e ve la schianta in faccia. Aggressivo, poderoso, insolitamente moderno, si trascina dietro lo screaming furente di un Dan Swano ospite d’onore. Sono veramente i Threshold? La risposta arriva con il refrain, un soffice cuscino lanciato tra i pistoni di una sezione ritmica schiacciasassi. Il vertiginoso saliscendi di emozioni – così diverse, così vicine – non lascia alcun dubbio: sono tornati, e non faranno prigionieri. Le distorsioni rifiutano di ammorbidirsi mentre “This Is Your Life” riscrive da capo il significato della parola “moderno”. Pochi arzigogoli e molta concretezza: le chitarre ruggiscono mentre le tastiere di Richard Wast impacchettano con i loro fasci cibernetici un refrain da urlo. La struttura è semplice, il risultato grandioso. Non si erano mai sentiti dei Threshold tanto diretti, incalzanti, efficaci.
Mac conduce, Dan lo accompagna nell’ombra: oscura e ossessiva, “Elusive” sorprende tutti spaccando un riffing massiccio, quasi thrash, con un chorus aperto dalle tinte calde. Nella sezione mediana i ragazzi si esaltano: dapprima un assolo di tastiere si slaccia dal tessuto del brano così da aprire una breccia per un secondo solo – semplicemente commovente – di un fenomenale Karl Groom, poi i cori fanno la loro trionfale entrata in scena, chiudendo la parata strumentale con una nota quasi epica, solo un attimo prima del violento ritorno del tema principale. C’è qualcosa di straordinario nei Threshold. Forse è l’impareggiabile maestria con cui si divertono a intrecciare semplicità e raffinatezza, forse l’innato potere di conciliare emozioni opposte in un medesimo brano, passando da un estremo all’altro in un battito di ciglia, come fosse la cosa più naturale al mondo. “Hollow” è l’emblema di tutto questo: ora energica e sbarazzina, ora docile e quasi timida, ora ruvida e sbrigativa. Altrove sarebbe in grado da sola di riscattare una tracklist di fallimenti; in “Dead Reckoning” è semplicemente una nuova dimostrazione di classe. Il meglio, peraltro, deve ancora arrivare.
“Pilot in the Sky of Dreams”. Il singolo, inizialmente la title-track, ancora adesso il capolavoro dei nuovi Threshold. Tutta la delicatezza, tutta la magia, tutta l’arte dei cinque inglesi riposa in questi dieci minuti scarsi di poesia in musica. “Pilot” è il sogno di un orizzonte lontano, di un cielo senza confini che si fa suono: il cuore e il culmine di “Dead Reckoning”.
Ritorno sul pianeta Terra. “Fighting for Breath” riassesta la tracklist dirottandola sui binari più tipicamente prog. Un sapiente dosaggio di elettronica ed effetti vocali esalta le qualità tecniche del combo britannico, col basso palpitante di Steve Anderson ad accompagnare le ritmiche eclettiche di Johanne James. Una volta in più i Threshold si confermano maestri nell’impiego dei break melodici: la sezione centrale, spezzate le trame pirotecniche di chitarra e tastiera, diventa uno squarcio di luce che illumina le doti di interprete del gigantesco Mac e il feeling alle sei corde del puntualissimo Groom. Ancora un passo avanti, e con l’imprevedibile “Disappear” l’album tocca un’altra delle sue vette. L’introduzione di West ai tasti d’avorio parrebbe aprire i cancelli per una ballad, ma a superare l’ingresso è un riffing strozzato, nervoso, quasi stralunato. Improvvisamente il bridge riscuote la melodia dal suo torpore e la innalza verso il refrain, delicato e visionario, cui si accompagna un altro esaltante assolo del mattatore Groom. Segue a discendere di nuovo il bridge che stavolta si ricollega come nulla fosse al riffing principale in una struttura armoniosamente ondulata: ponte-strofa-ponte-ritornello, con West che recupera in chiusura la melodia dell’intro. È un piccolo puzzle aperto a molteplici soluzioni, i cui incastri certosini sono ricomposti a regola d’arte dall’esperta mano della band.
Se proprio vogliamo trovare un difetto a “Dead Reckoning”, dobbiamo aspettare l’ottava traccia. Incapace di imporsi una rotta precisa, “Safe to Fly” si lascia naufragare su melodie calme e cullanti, con un bridge apparentemente gravido di sorprese che alla lunga tradisce le aspettative, dissolvendosi in un refrain opaco, privo di mordente. Non si può parlare di un vero e proprio passo falso, ma lo scarto di qualità con le altre canzoni si fa sentire, eccome. Per fortuna a chiudere in bellezza ci pensa la sinuosa “One Degree Down”. La sua struttra serpentina vede ancora una volta sugli scudi l’accoppiata Groom/West: perfetta la loro sinergia, che si tratti di movimenti in sincrono o in staffetta. Arrivati a questo punto ormai si tende quasi a dare per scontata la prestazione dell’anfitrione McDermott (che si conferma tra i migliori nel suo campo a livello mondiale), tanto che rischia di passare inosservata la classe con cui interpreta le proprie linee vocali. La sua forza sta del resto in quell’innato carisma che gli consente di dominare la scena in modo spontaneo, senza mai apparire invadente o fuori luogo. Una virtù condivisa dai suoi compagni. Prima della fine, infatti, c’è spazio ancora per un nuovo assolo di chitarra che si dilata senza forzare per un paio di minuti, lasciando l’ultima nota sfumare lentamente nel silenzio.

Si tende talvolta a concepire il progressive come un genere eccentrico, intricato, involuto, elitario, difficile da capire e da apprezzare. Talvolta, può essere così. Ma non è questa la regola, e i Threshold lo dimostrano. “Dead Reckoning” travalica i confini tra i generi dimostrando di poter incontrare tanto i gusti dell’appassionato quanto quelli del profano. Proprio qui sta il suo merito: saper scacciare gli sterotipi del prog senza perderne l’anima, saper essere moderno senza conformarsi alla corrente. In effetti, oggi non esiste un altro album che suoni come “Dead Reckoning”, né nel panorama musicale in senso lato né nella discografia dei Threshold stessi. Non si tratta di rivoluzione, non ancora. Più semplicemente, questa è ciò che si dice “personalità”.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. Slipstream
2. This Is Your Life
3. Elusive
4. Hollow
5. Pilot In The Sky Of Dreams
6. Fighting For Breath
7. Disappear
8. Safe To Fly
9. One Degree Down

Line-up:
Andrew “Mac” McDermott: vocals
Karl Groom: guitars
Richard West: keyboards
Steve Anderson: bass
Johanne James: drums

Guest:
Dan Swano: backing vocals on “Slipstream” and “Elusive”

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