Recensione: Deal with Pain

Di Stefano Usardi - 20 Luglio 2018 - 9:00
Deal with Pain
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2018
Nazione:
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77

Deal with Pain” è il debutto sulla, diciamo così, lunghissima distanza per i greci Darkest Color, arrivato nelle mie manine sudaticce (fa caldo, gente) a due mesi dalla tanto rimandata pubblicazione effettiva per arroventare ulteriormente le mie giornate di Luglio. Perché ho parlato di lunghissima distanza? Semplice, perché il gruppo di cui ci occupiamo oggi era attivo nella penisola preferita di Zeus e Poseidone già dalla fine degli anni ottanta, salvo poi sciogliersi nel 1990 prima di aver dato alcunché alle stampe; dopo una ventina d’anni, e cioè all’inizio di questo 2018 Tom, il fondatore del gruppo, ha deciso bene di rimettere insieme la vecchia band e, richiamato il bassista originale Elias (che poi lascia, sostituito da Dimitris Sofronas in qualità di turnista) e un paio di altri signori motivati e casinari, da alle stampe il tanto agognato debutto della sua creatura. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, soprattutto nel caso di un album come questo, ma procediamo con ordine. Tutte le canzoni presenti su questo “Deal with Pain” – cover degli Holocaust a parte, ovviamente – sono state scritte nel biennio 1988-1989 e da ogni secondo di ognuna di esse si percepisce, per stessa ammissione del gruppo, l’influenza dei Big Four del thrash metal statunitense, con spruzzatine qua e là di Sodom e Kreator per non farsi mancare niente: il risultato è un thrash decisamente vecchio stile, rissoso e cafone, in cui la carica propositiva della compagine greca si fa strada a gomitate in un modo decisamente retrò ma molto d’effetto, anche grazie a un comparto vocale molto corale e punkeggiante che ben si adatta al genere. Di tanto in tanto si percepisce lo spettro dei Metallica del periodo Burton (soprattutto), degli Anthrax di “Among the Living” e, più in generale, dell’epoca d’oro del thrash a stelle e strisce, ma sarebbe ingiusto considerare i Darkest Color come un gruppo privo di personalità: il quartetto ellenico, infatti, mastica e rielabora la lezione impartita dai nomi grandi per creare qualcosa di più vicino alle proprie corde, miscelando sapientemente arroganza e ironia con un comparto musicale di tutto rispetto, preciso e compatto. Le chitarre sono corpose e affilate, grattano il giusto e trasmettono la furia combattiva che ci si aspetta da un album thrash metal senza perdere di vista la meta finale né, soprattutto, cedere allo sterile rumorismo da “io sono più cattivo di te!“; la batteria martella dove serve e detta i tempi con precisione, caricando ogni canzone con rapidi fendenti senza strafare ma anche senza sbagliare un colpo, il basso rimbomba e arrota il tutto instancabilmente, legando il resto degli strumenti col suo incedere croccante, e la voce strepita rabbia e ignoranza a ogni piè sospinto (risultando a tratti un po’ eccessiva con la sua verve alcolica, è vero, ma alla fine dei conti ritengo che, nononstante la voce risulti il principale punto debole di questo lavoro, un po’ di cafonaggine ci possa stare).
Nonostante le tracce siano tutte piuttosto dinamiche e martellanti, inoltre, il quartetto riesce comunque a variare il tiro quanto basta per tenere il tasso di adrenalina dell’album sempre piuttosto alto senza annoiare il suo pubblico, divertendo e divertendosi a passare, spesso nel corso della stessa canzone, dalle classiche sfuriate a rallentamenti più carichi di groove, arpeggi maligni e sinuosi e assoli fulminanti, senza dimenticare ogni tanto quel tocco di sboroneria trionfale che dona ai pezzi un profumo, a tratti, quasi epicheggiante. Il fatto che i pezzi siano stati effettivamente scritti alla fine degli anni 80, poi, non appanna “Deal with Pain” con quello strato polveroso e l’odore di vecchio che si sente quando ci si imbatte in lavori che guardano troppo al passato, ma contribuisce a creare una certa aspettativa da tesoro sepolto che viene puntualmente soddisfatta durante l’ascolto dell’album. Certo, non siamo di fronte a un nuovo termine di paragone del thrash metal, ma sono più che convinto che “Deal with Pain” riuscirà a far breccia in più di un cuoricino metallaro grazie al suo atteggiamento sincero e appassionato e, soprattutto, alla sonora dose di mazzate in pieno stile Bay Area che i nostri greci riescono a dispensare.

Assolutamente consigliato a tutti i thrasher in circolazione, ma soprattutto ai nostalgici del decennio d’oro e agli amanti della musica dal piglio ignorante.

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