Recensione: Death And Love (EP)

Di Francesco Maraglino - 2 Novembre 2014 - 9:56
Death And Love (EP)
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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72

Inbound Legacy è il nome della band capitolina fondata da Tony Kish, alias Antonio Molinari (musicista e cantante già parte del combo southern Wild Shooter Band), nell’ambito di un più articolato piano di lavoro, che riveste carattere musicale e letterario. Tale progetto prevede, difatti, contestualmente alla release discografica, la pubblicazione di un romanzo, narrante la vita di un bambino ed il suo cammino attraverso diverse vite e disparate esperienze, e il cui primo capitolo, Il Ragazzo di Ur, è scaricabile dal sito della band.
Per gli aspetti musicali, il programma di Tony Kish – il quale ripercorre la formula, tanto cara al rock degli anni Settanta, del concept album – si concretizza attraverso la realizzazione di questo EP, dal titolo “Death And Love”, che rappresenta un primo assaggio, a quanto pare, di un’opera di più ampio respiro.
Con Tony Kish suonano, nei concerti dal vivo, Claudio Bellisari (chitarre, cori), Chris Schirò (batteria) e Stefano Silvestri (basso), mentre nel mini-album sono presenti un gran numero di ospiti. Tra questi citiamo Giulia Durantini ed Ilaria Caramia alle voci, Dave Bechtel alle programmazioni ed alle percussioni, Steve Brewster alla batteria, Matt Pierson al basso e Robert Nugent agli arrangiamenti degli archi, oltre agli stessi Silvestri e Schirò.

Death And Love s’apre con Revolution Inbound, canzone cadenzata la cui  oscurità è sottolineato anche dalla  voce tenebrosa di Tony, e che si fa apprezzare per il lavoro risoluto della chitarra.
A Pearl like the Sun, invece, affascina per le sue atmosfere sospese e le aperture melodiche, mentre Slut me è scandita, incalzante  e ancora guidata con determinazione dalla sei-corde.
Molto intrigante si palesa la title track, Death and Love, che accoglie l’ascoltatore con un’ apertura orchestrale lunga, solenne e lenta, per poi svilupparsi in più di un affascinante rimando pinkfloydiano. La presenza della voce femminile fornisce, qui, un ulteriore spunto suggestivo.

L’EP, che si chiude con una ripresa strumentale di A Pearl like the Sun, comprova il valore di un progetto artistico scevro da qualsiasi banalità, che non lesina riferimenti al dichiarato amore del suo mastermind per l’hard’n’heavy più classico, ma pure per il prog e la psichedelia dei Pink Floyd, e del quale attendiamo con interesse gli sviluppi.

 

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