Recensione: Death Cult Armageddon

Di Alberto Fittarelli - 29 Agosto 2003 - 0:00
Death Cult Armageddon
Band: Dimmu Borgir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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85

Tornano i Dimmu Borgir con il sesto full-lenght album della loro carriera, e lo fanno di nuovo alla grande, perseverando sulla linea della modernizzazione del loro sound senza per questo creare uno sterile clone del precedente Puritanical Euphoric Misanthropia. Non tutti avevano apprezzato il disco in questione, che aveva segnato una netta inversione nel suono della band verso toni cupi, ritmiche iperveloci e tematiche dal forte sapore apocalittico, ma con esso i norvegesi avevano saputo superare definitivamente i dubbi di chi li voleva sempre più vicini ad una banalizzazione della proposta musicale in nome della facilità d’ascolto.

Death Cult Armageddon è un disco oscuro, vario ed di grande spessore, un’opera di prima qualità, destinata ad inserirsi in una discografia che ammette rarissime pecche: anche in questo caso la lavorazione è stata lunghissima, per la media del metal estremo, con 3 mesi di lavoro continuato sulle registrazioni ed una fase aggiuntiva per la collaborazione con l’Orchestra Filarmonica di Praga; anche da cose come questa si nota la professionalità raggiunta da questi musicisti, confermata poi anche al momento dell’ascolto.
L’album si assesta sempre su coordinate violente, come dicevo, ma a differenza del predecessore contiene diverse variazioni d’atmosfera, momenti in cui non è il binomio velocità/melodia a farla da unico padrone, ma dove bisogna per forza apprezzare i singoli arrangiamenti dei pezzi: Lepers Among Us, con un andamento tra il trasheggiante e l’industriale, ricorda a volte la vecchia Puritania; Vredesbyrd condisce con ariose melodie di chitarra un tappeto ritmico lanciato, con il risultato di un feeling epico che mancava da tempo alle release dei Dimmu. E tra l’altro pezzi come l’opener Allegiance o Allehelgens Død I Helveds Rike sembrano volersi ricollegare con i fasti del passato, specialmente con quello Spiritual Black Dimensions che per primo aveva segnato il passaggio della band a strutture intricate e complesse, ampliando allo stesso tempo l’uso delle componenti sinfoniche.

E l’uso dell’orchestra merita di essere analizzato un po’ meglio, se non altro per rendere merito al grande lavoro svolto in fase di composizione dal tastierista Mustis, responsabile del connubio tra le parti prettamente metal e quelle derivate dalla musica classica: l’effetto delle sezioni di fiati ed archi su pezzi come Progenies Of The Great Apocalypse (il vero capolavoro del disco) o Eradication Instincts Defined è stato definito, non a torto, come “cinematografico”: maestose, evocative, le parte affidate all’orchestra arricchiscono e rendono più ‘reale’ un sound già di per sè ridondante, senza per questo portarlo al kitch tipico delle miriadi di cloni di questo tipo di suono, ma elevandosi al livello delle migliori soundtrack, tanto che viene naturale chiedersi come queste sezioni possano suonare se spogliate delle parti metal.

Va detto che non manca qualche calo di tensione, come in Cataclysm Children, dove la velocità a tutti i costi sembra prendere il sopravvento sulla varietà, o in Unorthodox Manifesto, con la sua lunga e cupissima intro campionata, che si ricollega direttamente a scenari tratti dalla seconda guerra mondiale: ma anche in queste canzoni non mancano le sorprese a tenere alta l’attenzione, e il tutto viene compensato con l’inserimento nella tracklist di un pezzo come Blood Hunger Doctrine: esso va a ricoprire il ruolo di ‘esperimento’ del disco, con ritmiche cadenzate ed aperture di tastiera particolari e facilmente memorizzabili…

Insomma, Death Cult Armageddon è un disco che va analizzato con calma, prendendosi il giusto tempo: non fate l’errore di bollarlo come l’ennesimo prodotto di plastica di una band attenta solo alle vendite, o perdereste uno dei migliori episodi discografici dell’anno. E se poi non è “true”, amen: certi dischi sono coraggiosi anche per questo.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Attendevo con impazienza questo nuovo disco dei Dimmu Borgir. Ero curioso di ascoltarlo perchè sinceramente il precedente Puritanical Euphoric Misanthropia non mi aveva per nulla entusiasmato. Avevo trovato diverse delle loro scelte, in particolare riguardo all’introduzione dell’elettronica e delle voci filtrate, alquanto discutibili.
Il mio interesse nei confronti di questo Death Cult Armageddon era quindi dettato dal voler vedere se i nostri avevano proseguito sulla strada intrapresa con l’album precedente o se, dopo un ravvedimento, si erano decisi a tornare sulle sonorità che li avevano resi famosi e ci avevano regalato un capolavoro come Enthrone Darkness Triumphant.

Andiamo quindi a parlare dell’album in questione e diciamo subito che alla fine si è rivelata esatta la prima delle due ipotesi. I Dimmu Borgir hanno continuato sulla strada aperta da “Puritanical…” raffinando quello che sembrerebbe dover diventare ormai il loro nuovo stile. Una veste forse più death, più netta, con suoni più puliti e riff precisi che sembrano voler lasciare da parte una certa eredità del black metal che dovrebbe essere per definizione sporco e con una pessima produzione.

Come dicevo quindi i Dimmu Borgir sembrano aver continuato per questa loro nuova strada e sembrano aver aggiustato il tiro sul tipo di musica che vogliono fare.
E’ proprio questo il motivo per cui questo album mi è piaciuto molto di più del precedente, principalmente le voci filtrate non sono più così predominanti come in “Puritanical…”. In questo album per fortuna la voce di Shagrath torna a farsi sentire e apprezzare al naturale, non più soffocata dall’elettronica. Le voci filtrate sono decisamente di meno e limitate in particolare ad alcuni intermezzi di parlato che introducono un paio di brani. A tal proposito non ho apprezzato tantissimo l’idea di inserire frammenti dei discorsi di Hitler dalla sua viva voce in To the World to Dictate Our Death, ma sono solo giudizi personali.
Torna a farsi sentire la voce pulita come già eravamo stati abituati su Spiritual Black Dimension, ma come in quel caso senza esagerare e usata solo per dare un po’ di colore in più alle canzoni.

A mio avviso poi le parti sinfoniche e orchestrali sono migliorate sia per come sono state gestite che per la loro qualità. “Puritanical…” mi aveva fatto storcere un po’ il naso anche perchè dopo una collaborazione sventolata ai 4 venti per più di un anno con l’orchestra di Goteborg, era uscito un album che di sinfonico aveva ben poco, in cui i suoni degli archi e dei fiati era rimasto semi-nascosto da una produzione sotto quel punto di vista decisamente insufficiente. Con questo nuovo album invece i Dimmu Borgir si riconfermano un gruppo con un notevole orecchio per la musica classica che torna a farsi sentire bene e a dare una grande profondità a questo album.

Giungendo infine alle conclusioni: un album consigliato a tutti i fan vecchi e nuovi dei Dimmu Borgir, consigliato sia a chi ha apprezzato l’ultimo “Puritanical…” di cui ne ritroverà il sound e una certa attitudine death, ma contemporaneamente anche ai vecchi fan eventualmente delusi dalla precedente uscita, i Borgir hanno aggiustato il tiro e sfornano un album notevole destinato a piacere un po’ a tutti.

Alex “Engash-Krul” Calvi

Tracklist:

01. Allegiance
02. Progenies Of The Great Apocalypse
03. Lepers Among Us
04. Vredesbyrd
05. For The World To Dictate Our Death
06. Blood Hunger Doctrine
07. Allehelgens Død I Helveds Rike
08. Cataclysm Children
09. Eradication Instincts Defined
10. Unorthodox Manifesto
11. Heavenly Perverse

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