Recensione: Death Ordinance

Di Daniele D'Adamo - 12 Luglio 2017 - 18:46
Death Ordinance
Band: Heresiarch
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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60

La tetra copertina a tema bellico è il primo indizio su come potrebbe essere il disco da essa contenuto. Campeggia un carro armato del tipo di quello inglesi della Grande Guerra. Morte, distruzione, odio, ferocia. Desolazione.

Giocoforza, allora, attendersi qualcosa di simile in termini ovviamente sonori, dagli Heresiarch, neozelandesi che, con “Death Ordinance”, timbrano il cartellino del primo full-length in carriera.

E così è: le tinte fosche della cover si ritrovano integralmente, nel loro sound. Melma, fanghiglia, mota, sono immagini mentali che si fanno subito strada, non appena c’è l’assalto dell’opener-track, ‘Consecrating Fire’. Figure che si adattano perfettamente al sound stesso, spaventosamente rozzo e involuto. Rabbioso, nel suo essere primordiale. Non si tratta di old school death metal ma di qualcosa ancora più arcaico, antico, mortale. Qualcosa che nasce direttamente dalle viscere della terra per strisciare in superficie con il fragore, appunto, di un carro armato. 

L’abominevole drumming del misconosciuto N.O. è forse il sostegno maggiore di detto sound. Ossia, quanto di più scellerato possa esserci in giro in materia di grezzume. Dai blast-beats sino alle più lente battute, la batteria svolge il suo compito evisceratore senza sbagliare un colpo. A essa, s’accoppia mirabilmente la putrefatta chitarra di tale C.S. La distorsione ha una profondità minimale, i riff seguono il sentore di decomposizione generale, inutile nemmeno accennare a dei soli. Non che siano necessari, anzi. Del resto, il roco e monocorde growling di N.H. non lascia spazio a diverse interpretazioni rispetto a quelle sin qui elencate: una specie di rombo che tuoneggia in sottofondo.

Detto del sound, davvero coinvolgente, non rimane che passare alle song e, purtroppo per i Nostri, “Death Ordinance” mostra clamorosamente tutti i suoi limiti. Consistenti, soprattutto, in una staticità compositiva evidente. Evidente, poiché anche l’orecchio più allenato coglierebbe con parecchia difficoltà differenze sostanziali fra un brano e l’altro. A parte l’andamento tribale di ‘The Yoke’ e la semi-marcia militare inserita in ‘Desert of Ash’, il resto assume dei connotati uniformi. Anche quando si superano velocità elevatissime (‘Harbinger’) non si riesce a cogliere la necessaria varietà di uno stile invece immobile e stantio (‘Righteous Upsurgence’). 

Per certi versi si potrebbe riflettere sulle sonorità dello sludge metal, parecchio simile a quanto proposto qui, BPM folli a parte. Oppure, all’hardcore. Non è semplice individuarlo entro il calderone di lava ribollente attizzato dal combo di Wellington, ma c’è, nascosto fra le pieghe di certo riffing (‘Lupine Epoch’). Tuttavia, anche donando al suono di brani come ‘Ruination’ la dignità di fusioni stilistiche varie, non ci si sposta da un’uniformità stancante che, inevitabilmente, porta alla noia.

Il che è un peccato, poiché di formazioni che suonino come gli Heresiarch non ce ne sono poi molte, sulla faccia della Terra. 

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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