Recensione: Death’s Design

Di Matteo Bovio - 8 Gennaio 2002 - 0:00
Death’s Design
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Anno: 2001
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65

Recensire questo lavoro è un’impresa quanto mai problematica, in primis per la sua particolarità: doveva infatti essere la colonna sonora di un film (sì, avete capito bene) che in seguito non è mai uscito. La conseguenza più immediata è la particolare suddivisione delle tracce: ci sono 20 movimenti, ed un totale di 61 tracce. Capirete che tutto questo rende l’ascolto un esperienza strana, oserei dire.

Al contrario di quanto pensavo all’inizio, il tutto è comunque parecchio immediato; d’altronde sulla genialità di Blakkheim non ho mai avuto dubbi, soprattutto dopo aver ascoltato i suoi lavori precedenti. Una genialità che ha la grande capacità di creare atmosfere del tutto particolari ma dalla facile presa sull’ascoltatore. In questo caso abbiamo un Black metal decisamente ricco di tastiere e in cui sapienti voci pulite accompagnano il classico screaming.

Ai primi ascolti non c’era nulla da eccepire, ogni cosa filava liscia come l’olio: il problema arriva quando si arriva a riconsiderare il tutto sule lunghe distanze. La longevità è il più grosso problema del prodotto in questione: finita la sorpresa dovuta alla particolarità, questa musica, che comunque è più che buona, mi ha lasciato veramente poco. Sicuramente una delle cause è il modo in cui è stato strutturato il lavoro, che non lo rende appetibile a pezzi, ma da prendersi necessariamente sempre e comunque in grandi dosi.

Le idee, insomma, ci sono e sono sviluppate relativamente bene; ma il tutto è troppo pretenzioso, e finisce con lo stancare. Ho trovato degli arpeggi di chitarra così particolari da rimanerne affascinato, ma mai integrati nel contesto di una canzone, quanto piuttosto di un singolo breve episodio: questo alla lunga non rende, e può anche infastidire.

Mi sento in dovere di fare un grosso complimento alla Avantgarde, un’etichetta che per l’ennesima volta ha dimostrato di saper fare le cose sul serio e bene: prescindendo dal lavoro in sè, la registrazione è veramente ottima, e l’artwork è originale ed interessante, oltre che ben realizzato.

La vena melodica è quella che ha il sopravvento su tutto; abbiamo qui un maestro di suoni e melodia, e le prove sono la esaltante Spinning Back The Cloks (traccia 18) ma ancora di più le tracce dalla 30 alla 32, che costituiscono il nono movimento. Una delicatezza di suoni veramente esemplare, che abbinati tra loro ricreano atmosfere da brivido, e che escono dal classico contesto black per creare qualcosa di più.

Ripeto, il lavoro in sè sarebbe buono, ma ha troppe pecche di tipo stilistico, e alla lunga stanca molto. Se siete incuriositi, prima di acquistarlo, dategli un bel po’ di ascolti. Credo che il voto ad un Cd dipenda molto proprio dalla sua longevità, e questo giustifica la valutazione da me assegnata. Aspetto fiducioso la prossima uscita.
Matteo Bovio

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