Recensione: Decimate Christendom

Di Giorgio Vicentini - 11 Dicembre 2004 - 0:00
Decimate Christendom
Band: Incantation
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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69

Arriva nel mio stereo l’ultimo episodio della saga millenaria degli Incantation, che a taluni potrà sembrare una delle tante puntate di una serie televisiva che nessuno ha voglia di chiudere, ma che fa sempre il suo sold out tra gli affezionati; quattordici anni di costanza e dedizione.

Esulando dal discorso storico, utile per certi aspetti ma anche fine a se stesso, per prima cosa cerco di concentrarmi sul presente, su quello che ora ho in mano, su Decimate Christendom. Se lo guardo dritto nelle palle degli occhi vedo un discone di death metal quadrato e con i contro sigilli, che ti si piazza d’innanzi con tutta la sua corpulenta possenza, sbuffando dalle narici come un bufalo minaccioso e puzzolente. L’inizio è rigoroso, sull’onda della title track e della seguente “Dying Divinity”, due monoliti su velocità consone al genere; dalla seguente “Oath of Armageddon” il ventaglio ritmico si amplia accogliendo anche decellerazioni e rallentamenti al limite del doom come nel blocco centrale della pachidermia “Blaspheme the Sacraments” o per il finale ultraslow di “Horns of Eradication”, sfociante nello strumentale successivo. Un’alternanza di stili e maniere sperimentati ed adottati già altre volte dalla scena americana, quali cambi di tempo repentini, accelerazioni sfascianti, doppia cassa imperante di un drummer come Kyle Severn, più che padrone della situazione.

L’album procede con un andamento costante e sciolto, restando ancorato a ciò che gli Incantation hanno saputo dire nel passato, un trademark musicale con due belle spalle larghe, che abbisogna come l’aria di dinamismo per non diventare un mattone. Più che soddisfacente la produzione, che per la prima volta mi aggrada davvero, rendendo il giusto merito ai pezzi. Apprezzabile il growl leggermente atipico del singer chitarrista John McEntee, convincente e a suo modo caratteristico; di livello lussuoso la tecnica dei singoli, invidiabile la potenza e la corposità del sound pur trattandosi di un trio. Unici appunti che mi sento di fare riguardano certi spunti un po’ prolissi e petulanti, che avrei preferito meno invadenti e più smussati; lo stesso dicasi per la lunghezza globale: 12 tracce non sono poche per questo stile così denso.

A questo punto è automatico che il pensiero si sposti su considerazioni non strettamente legate al disco in sé per sé, normale è un gioco di contestualizzazione del platter. Allo scopo mi chiedo: è corretto sorvolare sul concetto di innovazione al cospetto di questi attori? E’ giusto o ingiusto trattare una band culto (volenti o nolenti lo è) come una qualsiasi attrattiva?
Da un lato potrebbe essere il momento di dare un bel calcio nel posteriore a dei “babbioni” che ad alcuni sembreranno barcamenarsi per cercare di restare in piedi, dall’altro sarebbe un sacrilegio farlo. E’ indiscutibile il fatto che questi “grezzoni” americani sono il volto vivo e vegeto della sana attitudine death, catapultata da un’era vecchia di un decennio, un terzetto (la formazione è da sempre tartassata dai continui avvicendamenti) che sa buttare sul palco e nei dischi sensazioni ed impostazioni che faranno felici i nostalgici. Tutto questo in barba alle mode, alle innovazioni ed ai suffissi “post – qualcosa” o “core” che vengono affibbiati a qualsiasi oggetto musicale non identificato che solchi i cieli moderni, anche solo per dargli una sembianza di “the next big thing”, magari tutta da dimostrare.

Consiglio spassionatamente questo lavoro ai fedelissimi della scena americana, anche se non avranno certamente bisogno della mia parola per sapere ciò che sanno già: Incantation‘s are back. Non so come sarebbe il mondo estremo senza di loro, per ora resta sempre produttiva la loro presenza, aspettando il futuro per vedere quanto potrà reggere quest’impianto e se avranno ancora senso dischi come questo.
Dalla mia mi dichiaro un tiepido ma fedele seguace di questo mostro sacro americano e non sarà Decimate Christendom a farmi cambiare orientamento radicalmente: rispetto per il mito e per la dedizione sapendo che loro sono così, prendere o lasciare.

Tracklist:
01. Decimate Christendom
02. Dying Divinity
03. Oath of Armageddon
04. Blaspheme the Sacraments
05. Merciless Tyranny
06. Horns of Eradication
07. Unholy Empowerment of Righteous Deprivation
08. Thorns of Everlasting Persecution
09. No Paradise Awaits
10. Eternal Darkness Under Conquered Skies
11. Feeble Existence
12. Exiling Righteousness (bonus track)

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