Recensione: Demons And Wizards

Di Keledan - 27 Aprile 2003 - 0:00
Demons And Wizards
Band: Uriah Heep
Etichetta:
Genere:
Anno: 1972
Nazione:
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100

Demons And Wizards è una pietra miliare dell’hard rock anni settanta, potente, accattivante, con un irresistibile sapore di figli dei fiori e pillole di psichedelia che riaffiorano dalla fine degli anni sessanta.

Quarto full lenght degli Uriah Heep che, come altri loro illustri contemporanei, sfornano album con una frequenza impressionante (gli Heep ne pubblicano cinque dal 1970 al 1973), comprende alcune tra le più ispirate canzoni rock di sempre.

Il combo britannico, capitanato dagli inossidabili e ispiratissimi Mick Box (chitarra), Ken  Hensley (tastiere) e David Byron (voce), è ormai giunto alla definizione di un sound proprio e personale. Sound che, a mio modesto parere, è il miglior rappresentante dell’epopea settantiana.
Un cangiante misto di creatività e follia che gli Heep personificano alternando epicità, sperimentazione, malinconia, leggerezza, drammaticità, esattamente ciò che l’occidente prova in quegli anni di tumulto sociale, intellettuale e politico. I settanta sono infatti una sorta di rinascimento del ventesimo secolo che si concluderà nel grigiore derivato dalla guerra fredda. Gli anni 80 non a caso vedranno la fine delle sperimentazioni in quasi tutti i campi a favore del ritorno alle sicure e confortanti consuetudini che, in periodi di così critica preoccupazione danno tanta sicurezza e senso di stabilità.

Comunque non vi servirà la macchina del tempo per rivivere lo splendore degli anni ’70, vi basterà ascoltare questo disco a occhi chiusi per trasferirvi anima e mente nel passato.

L’album inizia con la suggestiva ed evocativa “The Wizard”, una splendida ballad fantasy / epica, con effetti psichedelici in background e atmosfera da trip. Non a caso i Blind Guardian ne faranno una cover (in Forgotten Tales) e, tra l’altro, Hansi chiamerà un suo side project proprio Demons And Wizards.

Traveller In Time è uno dei molti esempi della forza interpretativa di tutta la formazione ma, in particolare, del formidabile cantante del gruppo, quel David Byron che ne passerà di tutti i colori per i suoi problemi con l’alcool fino a essere trovato morto nella sua casa nel 1985. Epocali i riff di chitarra iniziali, ai quali seguono, come capita spesso nei pezzi dei ragazzi britannici, falsetti di Byron e crescendo a base di Hammond e poderosi riff di basso a rappresentare l’alternanza fra disperazione e speranza di un immaginario viaggiatore del tempo. Un pezzo che segna.

Easy Livin è indubbiamente il biglietto da visita degli Heep, un brano veloce e spensierato, trainato da una vena di basso da fare invidia a Steve Harris (che sicuramente ha ascoltato molto questo disco) e da un feeling così groovy che vi ritroverete a ballare imitando i coretti in falsetto a costo di essere scambiati per freak. La sintesi dell’Hard Rock anni settanta in due 2 minuti e mezzo di altissima classe.

Si apre la parte più melanconica del disco: “Poet’s Justice” un buon midtempo con bei riff e la voce di Byron una volta tanto pulita e potente a deliziarci.

“Circe Of Hands” è un lentone che entra nel cuore, con l’organo ad accompagnare l’ennesima splendida prestazione di David, intermezzata da riff di chitarra e basso e che trova il suo culmine nel ritornello letteralmente Flower’s Power!

Con “Rainbow Demon” siamo quasi al doom, un rock spinto e cadenzato con reminiscenze di Black Sabbath, spazzate via dai cori soul di puro marchio Uriah Heep.

“All My Life” è uno dei gioielli dell’album, una canzone ricolma di spensieratezza e gioia, venata dalle linee vocali frizzanti di Byron e che termina con un vero e proprio coro gospel con David a fare il solista, con vocalizzi divertenti e un pochino strafottenti.

“Paradise” è una ballad che riporta un po’ di malinconia, del resto in un album anni ’70 l’intensa canzone d’amore non può mancare.

Ma si tratta solo di un preludio a “The Spell”, brano che alcuni  ritengono essere il più rappresentativo degli Heep. Infatti nei suoi 7 minuti e mezzo contiene la summa degli stili e del song writing della formazione inglese, con stacchi, intermezzi, cambi di tempo e mood a riassumere i primi anni di carriera.

Un album perfetto, epocale, emozionante, immenso. Da avere, da ascoltare, da fare ascoltare a chiunque ritenga di essere un appassionato di hard rock. Compratelo, regalatelo, aiutate la diffusione di un gruppo storico che meriterebbe come minimo lo stesso successo di Deep Purple, Led Zeppelin e compagnia bella.
Come avrete potuto intuire dalla recensione, a mio modesto parere sono proprio gli Uriah Heep la band più rappresentativa dell’hard rock anni settanta.

Se non li conoscete, metteteli alla prova. Ma attenzione, perché ve ne separerete difficilmente…

Sequenza dei brani:

1. The Wizard
2. Traveller In Time
3. Easy livin’
4. Poet’s Justice
5. Circe Of Hands
6. Rainbow Demon
7. All My Life
8. Paradise
9. The Spell

In memoria di David Byron, scomparso il 28 febbraio 1985.

Roberto ‘Keledan’ Buonanno

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