Recensione: Designed Obsolescence

Di Daniele D'Adamo - 27 Febbraio 2019 - 0:08
Designed Obsolescence
Band: Continuum
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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70

I Continuum sono una band di technical death metal proveniente da Santa Cruz, in California, formatasi nell’estate del 2009 da Chase Fraser (Decrepit Birth) a seguito dello scioglimento degli Animosity, altra formazione metal della Bay Area. Dopo vicissitudini varie nella line-up, sempre e comunque composta da gente di tutto rispetto, nel 2015 arriva il debut-album, “The Hypothesis”. E, ora, il secondogenito, “Designed Obsolescence”.

Lo stile del quintetto statunitense è improntato su una manifestazione esasperata di tecnica strumentale applicata a un songwriting tutto sommato percepibile nelle sue linee essenziali. Pur presentando una struttura musicale estremamente complessa, i Nostri riescono a presentarsi in maniera… umana. Non stravolgendo, cioè, almeno non di tanto, la forma-canzone tipica del metallo classico. 

Con che, risultando abbastanza intellegibili forse anche a coloro che, magari, approcciano da poco a questo particolare stile, tradizionalmente ricco di tutti i possibili accidenti musicali esistenti, scevro da qualunque astrazione di possa accumunare al concetto di melodia, padrone incontrastato del Reame della Dissonanza. 

Probabilmente il drumming di Ron Casey, seguendo il discorso, non immagina nemmeno che ci possa essere un segmento lineare, nella sua tentacolare esecuzione, neppure nascosto in una selva di bombardamenti a tappeto sparati con violentissimi blast-beats, eseguiti con perizia irreprensibile, da manuale, tant’è rispondente ai dettami di base del genere di cui trattasi. 

L’incessante lavoro delle chitarre di Fraser e Ivan Munguia è semplicemente mostruoso. L’impatto frontale delle song del platter è tremendo, sfavillante energia allo stato puro. Impossibile tentare di contare i riff cuciti a mò di trama dalla coppia su citata. Trama a maglie strettissime, che può benissimo essere anche percepita come la forma mineralogica che distingue una parete di granito. Sul quale, in ogni caso, brillano le complicate divagazioni delle parti soliste. Un wall of sound che, per emergere dalle nebbie con la dovuta imponenza, non può fare a meno del rombo iper-tecnico del basso di Nick Willbrand che, al contrario di quando qualche volta accade, segue la sua strada evitando di fungere da terza ascia da guerra.

Purtroppo la volontà di evitare di proporre un disco a uso e consumo soltanto dei patiti della massima perizia musicale possibile in ambito metal, viene un po’ vanificata dal growling parecchio monotono di Riley McShane che, sfortunatamente, tende ad appiattire un po’ il tutto. Sì che ci sono tratti suinici dettati dall’inhale, a tentare di movimentare qualcosa che, invece, diventa  inevitabilmente noioso via via che susseguono gli ascolti. 

Peccato, poiché brani come la pazzesca ‘Remnants of Ascension’ sono dei viaggi allucinanti nel regno della trance da hyper-speed, ove è lecito e piacevole immergersi per immaginare il completo disfacimento dell’apparato uditivo.

C’è anche da osservare, ancora, che la fiera intransigenza a seguire gli stilemi fondamentali del technical death metal porta il sound a essere, sì perfettamente formato e senza alcuna sbavatura, ma riconoscibile con difficoltà in mezzo alla marea di proposte similari.

“Designed Obsolescence”, in ultima analisi, non è un lavoro affatto da buttare alle ortiche. Forgiato con tecnica sopraffina, somma tracce tutto sommato godibili, anche non particolarmente significative per un quid di originalità che, difatti, non c’è.

Dispiace che, per tutto quanto sopra, l’opera sia alla fin fine solo per appassionati del genere e non per tutti: l’occasione era favorevole…

Daniele “dani66” D’Adamo

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