Recensione: Destroy the Opposition

Di Stefano Risso - 26 Gennaio 2005 - 0:00
Destroy the Opposition
Band: Dying Fetus
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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90

Nel vastissimo panorama brutal death americano, un posto di rilievo
è sicuramente occupato dai Dying Fetus. La band, formatasi nel
1991, si è distinta dalla massa grazie ad un sound alquanto
personale e grazie anche alla elevata qualità di ogni singola
pubblicazione.

Destroy
The Opposition
, il quarto full-lenght del gruppo, riprende
sostanzialmente il discorso musicale intrapreso con le uscite
precedenti, ma l’impressione generale è che i Dying Fetus si
siano concentrati maggiormente sulla stesura e sulla organicità
delle canzoni piuttosto che lavorare esclusivamente sulla potenza e
velocità della propria musica. Con questo non voglio dire che i
nostri si siano “ammorbiditi”. Quello che è contenuto in questi
36 minuti di musica è un concentrato di brutal death americano,
con accelerazioni che strizzano l’occhio al grind, elementi hardcore e
un tocco di sano thrash, uniti sapientemente in una miscela tesa a
rendere ogni composizione straordinariamente dinamica a coinvolgente.
Difatti quello che più risalta all’ascolto è la grande
complessità delle canzoni, che grazie ad un song writing
superiore, risultano essere un continuo susseguirsi di stacchi da
brivido, sapienti decelerazioni, cambi di tempo, virtuosismi che,
almeno durante i primi ascolti, sono davvero spiazzanti. Ma tutto
questa complessità non è fine a se stessa, visto che
è mantenuta in qualche modo la forma-canzone ed è
presente una piccola componente catchy, che rende l’ascolto piacevole e
coinvolgente.

Il quartetto americano è composto da John Gallagher (chitarra
e voce), da Sparky Voyles (chitarra), da Jason
Netherton
(basso e voce) e da Kevin Talley
(batteria). Questi ragazzi hanno dimostrato in questo disco, ancora una
volta, di possedere una padronanza tecnica dei propri strumenti e una
coesione impressionante, che non ha nulla da invidiare (anzi…) ai
gruppi più blasonati della scena estrema. Le 8 schegge impazzite
che compongono l’album sono tutte di altissimo livello. Durante
l’ascolto non si riscontrano cali di tono, il tutto scorre senza
intoppi, e l’energia sprigionata dal gruppo è tale che è
davvero difficile esimersi dal compiere headbanging ed amenità
varie.

Data l’elevata qualità generale, è veramente difficile
segnalare una traccia rispetto ad un’altra. Il ruolo di opener è
affidato a Praise The Lord (Opium Of
The Masses), una canzone che dimostra subito di che pasta sono
fatti i nostri deathsters. L’inizio è cadenzato, ma dopo una
trentina di secondi si comincia subito a spingere sull’acceleratore. Le
chitarre sono velocissime ed affiatate, la batteria è precisa,
veloce e fantasiosa. Il cantato è affidato a Gallagher
e a Netherton che si esibiscono in growls ora
gutturali, ora più canonici, che conferiscono ulteriore spessore
alla musica. Non sto ad elencarvi ogni cambio di tempo, ogni
variazione, perchè risulterebbe davvero arduo e superfluo. La
canzone è un continuo rincorrersi di parti brutali e parti
più ragionate, in cui il gruppo sembra svolgere il proprio
lavoro con la massima naturalezza. La seconda Destroy The Opposition non è
certamente da meno. Stavolta l’attacco iniziale è una mazzata
sulle gengive impressionante. La quantità di riffs sparati dalle
chitarre e la potenza dei blast-beat di Talley sono
quanto di meglio si possa ascoltare. Il finale di canzone,
assolutamente thrasheggiante, dimostra come i nostri non sono votati
solamente alla brutalità. La terza Born In Sodom, come la precedente,
inizia velocissima: in questa traccia i Dying Fetus dimostrano anche
un certo gusto melodico, visto che i riffs portanti della prima
metà di canzone sono immediati e di grande presa. Lo schema
della song è più lineare delle precedenti, ma è
impreziosito da un pregevole assolo di Gallagher
inizialmente lento ed espressivo che prosegue poi tortuoso e
velocissimo. La traccia si conclude poi con delle soluzioni davvero
spaccacollo. Segue poi Epidemic Of
Hate, dove le influenze thrash sono evidenti; i ritmi sono meno
sostenuti, ma nonostante tutto il brano può essere eletto uno
dei migliori del lotto, grazie alla fantasia della composizione. Gallagher
si cimenta in un altro assolo notevole, mentre la seconda parte della
canzone riprende ritmi sostenutissimi. Davvero un ottimo pezzo. La
quinta Pissing In The Mainstream
è la traccia più corta del disco (meno di 2 minuti), dove
i nostri tirano fuori il loro lato più brutale. Doppia cassa a
manetta, riffs articolati e voce potente. Una canzone meno ricercata ma
sicuramente di grande impatto. In Times
Of War riprende le coordinate stilistiche più tipiche dei
Dying Fetus,
dando vita ad una song che non tradisce le aspettative
dell’ascoltatore. La settima For Us
Or Against Us è un ulteriore conferma della classe e
dell’ispirazione di questi ragazzi. Brano che stupisce nuovamente per
la quantità di soluzioni e per perizia tecnica. A conclusione
del disco vi è Justifiable Homicide che racchiude in 5 minuti e
mezzo tutto quello che i Dying Fetus vogliono
esprimere attraverso la loro musica. Inutile dire che anche
quest’ultima traccia è spettacolare.

La produzione dell’album è ottima, con un suono di chitarre
corposo e pulito, forse troppo. Il basso, nonostante il macello sonoro
sprigionato, è ben distinguibile dai restanti strumenti. La
batteria, come del resto il genere impone, è triggeratissima.
Ogni parte del set è distinguibile. L’unica critica che posso
muovere per quanto concerne il suono della batteria è che
è forse un po’ piatto e “asettico” in alcuni passaggi. Comunque
una pecca trascurabile. Anche per quanto riguarda le voci non si poteva
chiedere di meglio. I testi delle canzoni sono principalmente a sfondo
politico di denuncia (come si può intuire dalla copertina) e nel
booklet è presente un link per un indirizzo in cui si possono
approfondire le ideologie espresse nei testi.

In conclusione consiglio vivamente l’acquisto di questi cd non solo
agli amanti di queste sonorità, ma anche a coloro che vorrebbero
approdare a lidi più estremi, vista l’immediata “presa” di
questa musica, complessa ma allo stesso tempo di grande impatto.
Ignorare la presenza di un gruppo come i
Dying
Fetus
vuol dire solo farsi del male.

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