Recensione: Destructor

Di Mauro Gelsomini - 2 Febbraio 2003 - 0:00
Destructor
Band: Black Steel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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60

Gli australiani Black Steel suonano un power/heavy metal tirato, a tratti epico, che ricorda molto spesso la proposta degli Hammerfall. Gli ingredienti ci sono tutti, dal drumming tutto doppio pedale, alle alte vocals che intonano linee sempre alla ricerca della melodia, dai poderosi cori al double axe attack. Legatissimo alla tradizione true metal di Judas Priest, Manowar, Accept ecc., dunque, il quintetto si presenta con questo debut che molto deve alle band sopra citate, e che paga quindi molto quanto a originalità e freschezza. Ognuno fa qui il suo con grande dedizione (al genere), ripetendo la lezione in maniera impeccabile, dei loro conterranei Pegazus (soprattutto con “Hail Of Fire”), che però vantavano una maggior attenzione nelle atmosfere e nelle melodie: infatti le song di questo disco non sono mai trascinanti, anche se i Black Steel le provano davvero tutte. Le soluzioni tentate sono davvero encomiabili, ma l’incapacità di costruire linee veramente catchy è il vero punto debole di questa band. Sarà la produzione piuttosto grezza, saranno le vocals a volte sporche, ma la proposta dei Black Steel è decisamente più pesante di quella dei power metallers svedesi, e più vicina ai primi Riot, quando non diventa inequivocabilmente Manowar su alcuni passaggi.
La prevedibilità delle ritmiche dettate da Damien Petrilli non può suggerire differenti soluzioni neanche alle chitarre di Andrew DiStefano e di Emanuel Rudnicki, mentre il basso di Dave Harrison mi sembra lo strumento che più degli altri cerca di distinguersi, ma lo fa sporadicamente, come in “Rise Up”, il cui incipit si rivela poi solo un fuoco di paglia. La nota dolente è la voce del singer Matt Williams, stridula e quasi completamente priva di presenza, in grande difficoltà nei refrain, dove oltre a non riuscire a dare alle song il piglio giusto, spesso si trova a dosare male il volume della voce, col risultato di un vibrato fastidioso e apparentemente fuori tonalità.
Ho apprezzato qualche accenno di progressione presente in “Bonded By Steel”, l’epicità di “Hell’s Gates”, le struggenti atmosfere di “Vengeance Of The Damned”, il bel chorus di “Too Wild To Tame”, tuttavia, non posso considerare Destructor come una sorpresa sconvolgente. Sapientemente i Black Steel inseriscono come ultimo pezzo “Forever (The Sands Of Time)”, il migliore del platter, cosicché, seppure non nego che difficilmente riascolterò questo disco, almeno me lo ricorderò con questa bella song.

Tracklist:

1. Breaking the Chains
2. Time Marches On
3. Destructor
4. Hell’s Gates
5. Bonded By Steel
6. Rise Up
7. Vengence of the Damned
8. Hail of Fire
9. Too Wild to Tame
10. Forever (The Sands of Time)

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60