Recensione: Devil Seed

Di Marco Giono - 7 Marzo 2015 - 10:00
Devil Seed
Band: Wolf
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Episodio IV
Una Vetusta Speranza

Tanto tempo fa in una galassia lontana, lontana… È un periodo di guerra civile. Le navi spaziali dell’Happy em(M)e(n)tal, colpendo una delle case discografiche più intransigenti, hanno ottenuto una delle loro vittorie più importanti contro i Bastardi del Metallo Pesante. Durante lo scontro, a colpi vincenti di brani canticchiabili e melodie formaggiose, sono riuscite a rubare gli spartiti segreti per l’arma definitiva dei Bastardi, il FISCHIETTO NERO, in grado di spalmare qualsiasi melodia poppettara all’istante.
Inseguito da quei brutti ceffi del Metallo Pesante, il principe Tobias sfreccia verso casa a bordo della sua Anti Space Police Car, custode degli spartiti segreti per rendere la galassia formaggiosa e poppettosa….

 

Episodio X
La Lobotomia del Formaggio, ai nostri giorni

In realtà più che di battaglia oggi parlerei di borbottii di dissenso, magari qualche espressione colorita nei confronti degli uni o degli altri, ma nulla più. I muri sono crollati? Forse. In ogni caso nel mondo sempre più affollato e complicato del metal, quale che sia il genere, è certamente difficile emergere.
Gli Wolf, nati nel 1995 (primo album rilasciato nel 1999 e intitolato Wolf), non hanno mai avuto il successo sperato e probabilmente meritato. Loro suonano heavy metal. No, non ci dovete aggiungere altro al limite se volete essere più precisi lo potete definire Metal for True Bastards (ci tengono a questa definizione, credetemi). Questo è il punto: il metal dagli anni novanta in poi si è mosso in diverse direzioni: quelle sinfoniche, happy metal, di revival o altro ed in tutto questo il gruppo svedese è sempre rimasto ad aspettare sul binario sbagliato o molto più semplicemente aspettavano un treno che non sarebbe mai passato, malgrado i loro album fossero mediamente di qualità elevata, ben suonati e non poi certamente banali nella loro essenzialità. Qualcosa è andato storto.
A tre anni dall’ottimo Legions of the Bastards (2011) i Wolf ci rirprovano con Devil Seed (settimo disco dagli esordi), il seme del diavolo riuscirà a moltiplicarsi e a far risorgere dalle tenebre i nostri eroi? Non ci sarà risposta a tale domanda, però andiamo a guardarci dentro.
Beffardi questi svedesi. Leggo il titolo della prima traccia “Overture in C Shark” e se la sinfonia li ha ghettizzati, loro se ne fanno beffe rileggendola in una strumentale inquieta e ossessiva, preludio all’attacco stile Painkiller di “Shark Attack” e quel refrain a base di squali ti rimane addosso, scuoti la testa, non ci puoi fare nulla. Queste due tracce sono mosse dalle chitarre di Niklas Stalvind (unico superstite dagli esordi del gruppo) e Simon Johansson in una distorsione piena, decisa e chiara come un pugno in faccia. La voce di Stalvind è un rasoio che fa male, ma riesce comunque a essere espressiva. La batteria di Richard Holmgren picchia però non con l’intento di distruggere, ma di dare espressione all’incessante divenire della musica.
Il basso di Anders Modd si metterà in evidenza nella terza traccia “Skeleton Woman” che in avvio ricorda i Death di The Sound of Perseverance per poi muoversi in melodie ossessive e schizoidi sottolineate dal lavoro volutamente sporco del bassista. Vi è anche un bellissimo assolo ispanico ad arricchire il pezzo. Ancora brillanti questi bastardi svedesi.
Tredici i brani dell’album per cui vediamo quali colpiscono di più. Non posso esimermi dal segnalarvi “Surgeons of Lobotomy” con quel falsetto malefico à la Mercyful Fate che si insinua sinistro nella melodia, poi assoli, riff a ingigantire il manuale dell’heavy metal. Il Re Diamante è un punto di riferimento costante per gli Wolf malgrado riescano a creare musica con un proprio stile ben definito. Convince anche “My Demon” nella sua attitudine più rock con quella melodia quasi scherzosa, ma da non da prendere troppo alla leggera.
La traccia sette è “Back from the Grave” e da quella bara gli scheletri risorgono per danzare in una melodia inquieta e avvolgente. Il duo “River Everlost” nel suo imperversare oscuro e “Killing Floor” che è epica di vendetta, entrambe colpiscono e convincono senza mezze misure.

 

Episodio XI.
“E la mia giustizia calerà su di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che proveranno ad ammorbare e a distruggere i miei fratelli” (cit. Pulp Fiction)

Vi sono punti deboli? Non di certo la produzione, i suoni sono fantastici, risulta tutto curato maniacalmente e anche i pezzi più deboli (“The Dark Passenger” e “I am Pain”) si lasciano ascoltare. Il risultato non è causale, infatti alla produzione sono stati coinvolti Jens Brogen e Mike Wead (tra gli atri produttore dei Mercyful Fate, guarda un po’…), oltre all’esperienza degli stessi Simon e Niklas in studio di registrazione. Certamente la loro musica non è debole, perché quel susseguirsi di riff multiformi, sinistri, oscuri a volte beffardi che duettando con la voce verso note alte, creano un heavy metal per definizione classico, ma di sicuro non imbalsamato nel passato. Piuttosto gli antichi demoni vengono evocati perché lì il metal è potente più che mai. La copertina odora di passato, ma è talmente oscuro e remoto da rendersi innominabile, quindi senza tempo. Dimenticavo: è davvero ben riuscita, qualunque cosa quel disegno voglia significare. A dirla tutta quello che manca è proprio il colpo di genio alla King Diamond, uno che è capace di far risorgere persino le bare per farle pogare in una danza orrifica e selvaggia.
L’album rimane in ogni caso davvero più che buono e da ascoltare senza indugi. Invece a coloro che mi ammorberanno blaterando di cose già sentite? È proprio su di loro che la mia giustizia calerà… con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno.

 

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