Recensione: Devolve [EP]

Di Nicola Furlan - 5 Aprile 2015 - 4:00
Devolve [EP]
Band: Mutagenocide
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2014
Nazione:
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54

Una domanda ancora prima di iniziare, tanto per condividere con voi lettori un pensiero… perché oggiogiorno la maggior parte delle band dedite al thrash metal non ritiene necessario avere dietro al microfono cantanti abili come è sempre stato? Perché, a differenza degli altri generi, il cantato deve sempre esser messo in secondo piano? Lasciando volutamente da parte voci leggendarie della scena internazionale, mi vengono in mente i cantanti di band quali Forbidden, Sacred Recih, Vio-Lence, Xentrix, Mortal Sin, Onslought… ca**o, era tutta gente che spaccava da paura! C’è però, da tempo, un ‘modus operandi’ in tal senso che dà fastidio. Troppi cantanti, sia nell’hardcore, sia nel thrash metal, approcciano al proprio ruolo da semplici urlatori. Forse l’intento è quello di cercar di incutere timore, forse si ritiene che schiamazzare apporti quella prestazione in grado di non snaturare il sound. Ma così non funziona. Mi considererete un crociato, ma è da tempo che mi sono un po’ rotto di valutare positivamente gli ‘strillatori’. Il caso dei Mutagenocide è solo uno dei tanti ovvero quello di una band che ha idee, ma che ha un cantante pietoso.
Il gruppo britannico propone un thrash metal tirato, carico di sezioni hardcore e di qualche soluzione compositiva apprezzabile. Non parliamo di hardcore a là Sepultura, né tantomeno di quello storico stile D.R.I., quanto di una sorta di thrashcore molto orientato al massacro. Sezioni solsite qua è là e un capillare in grado di far fluire nel sound un pochetta di melodia, sono di fatto gli elementi in grado di qualificare “Devolve” nell’infinita serie di produzioni undergrund del genere. Siamo di fronte ad un prodotto comunque molto ordinario, dove nulla di nuovo viene proposto. L’ascolto resta però godibile in quanto acceso e frizzante, preludio ad un prossimo full-length che potrebbe compiacere i più dediti alla corrente artistica in questione. Punto debole? Penso l’abbiate capito. La prova del cantante Jay Taylor su cui non credo servano altre parole dopo quelle dette. Infine, risulta ormai ordinaria la copertina.
Che dire, siamo di fronte ad un EP che non apporta nulla alla scena, tantomeno a quella underground che resta, oggi come oggi, l’unica vera speranza per la sopravvivenza e la rinascita qualitativa di questo movimento musicale. Poca roba.

Nicola Furlan

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