Recensione: Diary of a Madman

Di Filippo Benedetto - 21 Ottobre 2003 - 0:00
Diary of a Madman
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Anno: 1981
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90

Ozzy Osbourne è stato un personaggio carismatico nei Black Sabbath, ma lo è continuato ad essere nel seguito della sua carriera come solista. Nel 1980, dopo aver messo su band tutta nuova, diede alle stampe un album di debutto dai più definito uno dei suoi migliori lavori, “Blizzard of Ozz”. Il disco fece conoscere, alla vasta platea di Kids sparsi per il mondo, non solo le grandi doti del “madman” ma anche quelle del talentuoso chitarrista Randy Rhoads, da poco uscito dai Quiet Riot per imbarcarsi in questa nuova avventura. Il disco ebbe notevole successo, come del resto il relativo tour promozionale. A questo punto, e siamo nel 1981, la band aveva bisogno di consolidare il proprio successo e fu così che Ozzy diede alle stampe “Diary of a madman”. 
Il disco si apre con “Over the Mountain”, pezzo vivace e con riffs molto azzeccati. La ritmica basso/batteria dona alla track il giusto ritmo cadenzato ma allo stesso tempo sostenuto. Il pezzo non stanca per nulla e la chitarra di Rhoads la fa da padrona riuscendo ad alternare , bene, le varie atmosfere incluse nel brano pescando a tratti, ma in maniera discreta, in alcuni riffs tipici del sabbath sound.
“Flying high again”, seconda song, è trascinante fin dalle prime note e da subito ti entra in testa specialmente nel refrain, tanto da rendere il pezzo nel complesso una delle sicure gemme del disco. Come nella precedente prova discografica, Randy Rhoads dà dimostrazione delle sue enormi doti di chitarrista con un assolo molto bello. Rispetto al disco precedente, lo si nota già all’ascolto di queste prime due track, “Diary of a madman” costituisce una tappa importante per il combo capitanato da Ozzy. Infatti la terza song, “You Can’t Kill Rock And Roll”,presenta quel livello di complessità di songwriting che è quasi caratteristico dell’intero album. Un arpeggio molto semplice e però molto bello ci introduce alla prima semi-ballad del disco. Il brano si alterna tra questa fase più intimista, con un Ozzy che incarna alla perfezione l’atmosfera struggente espressa dal riffing semi acustico e la fase in cui il ritmo si fa leggermente più sostenuto con un leggero inasprimento del tema centrale della song, il tutto però seguendo una linearità notevole e ben calcolata. L’assolo è molto bello, riuscendo nell’intento di donare alla track quell’atmosfera di tensione in più che non sfigura per niente.
Come se il disco stesse seguendo un preciso filo conduttore, “The Believer” accentua le atmosfere di tensione prima accennate nel precedente pezzo per creare una composizione nella quale da notare sono le vaghe ma inequivocabili reminescenze del passato “sabbathiano” di Osbourne. In particolare sono molto coinvolgenti sia il riff sia le linee di basso portanti dell’interno brano. Unico neo in questa traccia è l’assolo che nella prima parte ricorda un po’ troppo la scala iniziale di quello ben più famoso della leggendaria “Mr Crowley”. Una potente e martellante intro di batteria ci introduce a “Little Dolls”, pezzo che ha un buon refrain centrale e un una solida struttura in sede di songwriting. Molto bella, magistralmente eseguita, la parte più cadenzata del brano nella quale la vena melodica del buon Rhoads si fa piacevolmente notare soprattutto in sede solista. Con “Tonight”, sesta song, la vena melodica del combo esce allo scoperto con grande eleganza e trasporto allo stesso tempo. Ciò che colpisce di questo brano è la capacità degli strumentisti di aggiungere, ognuno dal proprio punto di vista, migliorie in sede di esecuzione strumentale che donano al complesso dell’opera estrema godibilità e freschezza. Anche qui la prova di Rhoads è encomiabile, a conferma del fatto che questo musicista è stato fondamentale nella resa generale di questo lavoro. Con “S.A.T.O” , penultima song, la band dà lampante dimostrazione di possedere doti tecniche elevate oltre ad un’ottima capacità di non ripetersi lungo tutta la durata del brano. Il pezzo “viaggia” su ritmiche sostenute e i riffs si susseguono l’uno dietro l’altro con una linearità d’esecuzione che sa coinvolgere l’ascoltatore senza stancarlo. Da annoverare sicuramente tra le gemme del disco. Il disco si chiude con la title track: una song maestosa, cupa, “trascinante” nel suo incedere, in una prima fase, in un lento e cadenzato riffing per sfociare, poi, in uno quasi malefico (ma sublime) “inno” che non ha nulla da invidiare al classico sound sabbathiano. 
Per concludere, questo “Diary of a madman” è un’opera fondamentale nella discografia di Ozzy Osbourne che costituisce da una parte un tassello importante nel panorama dell’heavy metal classico e dall’altra un rilevante “testamento musicale” del talentuoso chitarrista (prematuramente scomparso) Randy Rhoads.  

Filippo “Oldmaidenfan73” Benedetto 

Tracklist:
1)Over the mountain
2)Flying high again
3)You can’t kill rock and roll
4)The Believer
5)Little dolls
6)Tonight
7)S.A.T.O.
8)Diary of a madman

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