Recensione: Digital Ghosts

Di Riccardo Angelini - 29 Ottobre 2009 - 0:00
Digital Ghosts
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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85

Chiunque abbia sentito una volta il nome Shadow Gallery sa quanto sia difficile parlare di questo disco. Era il 29 ottobre 2008 quando un attacco di cuore si portava per sempre via Mike Baker. Quel maledetto giorno, i suoi compagni persero un amico, la musica perse un grande, grandissimo interprete. Un anno dopo, giunge l’ora di smettere il lutto e ricordare Mike attraverso ciò che più gli piaceva – la musica.

Un tunnel oscuro che fugge a perdita d’occhio fra due file continue di edifici: un biglietto da visita opprimente, che lascia un desolante senso di vuoto. Ma ‘Digital Ghosts’ è l’album della rinascita. Composto in parte già nei mesi successivi all’uscita di ‘Room V’, si mantiene fedele al canone degli ultimi dischi da studio. Dopo l’esordio del ’92, gli Shadow Gallery non sono mai stati una band votata alla sperimentazione, quanto piuttosto alla ricerca melodica – col supporto di un bagaglio tecnico di prim’ordine. Il rispetto del passato trova sostegno anche nella prestazione del nuovo cantante, Brian Ashldand, l’osservato speciale. A scrivere le linee vocali è come sempre Carl Cadden-James, e questo rende indubbiamente meno traumatico il passaggio di microfono. Chi segue la band da tanti anni non potrà comunque fare a meno di provare un certo senso di straniamento nel sentire un’altra voce sulle linee di Baker (è il caso del sottoscritto). Ma al di là degli affetti personali, non si può negare che il buon Ashland faccia egregiamente la sua parte. Dotato di un timbro duttile e molto melodioso, che spesso ricorda quello di un giovane Tate (specie nelle note più basse), interpreta la sua parte con umiltà ma senza timore. I ragazzi della band del resto sono ben coscienti di quanto sia pesante l’eredità che grava sulle sue spalle, così lo assistono di frequenti con cori eccezionalmente ricchi, ancor più presenti che in passato. Saranno fra i punti di forza dell’album.

La costruzione dei brani risponde a una tendenza binaria insolita ma omogenea. Da un lato ci sono pezzi più lunghi, prossimi ai dieci minuti, posti in testa e coda alla tracklist. Dall’altro quattro brani ravvicinati di media portata, poco oltre i sei primi. In entrambi i casi la forza delle melodie aiuta ad assimilare strutture molto articolate e arrangiamenti di grande complessità, così da concedere, anzi, imporre numerosi ascolti prima di acquisire familiarità con le singole canzoni.

Non stupitevi quindi se ‘With Honour’ saprà colpirvi fin dal primo incontro, e pure vi costringerà ad ascoltarla e riascoltarla come spaesati per molte settimane. I cori, ricchi di contrappunti, fanno già la parte del leone, spavaldi abbastanza da concedersi un’intera sezione a cappella a metà brano. Intanto compare, anzi, ritorna uno dei tratti tipici del sound Shadow Gallery, sparso già in vari capitoli della loro discografia ma mai così presente: il taglio epico delle melodie, eredità di pezzi immortali come ‘I Believe’ e ‘Room V’. L’epos si sofferma anche sulle dure distorsioni di ‘Venom’ – brano pesante, sulla falsariga di ‘The Archer Of Ben Salem’, dominato dal basso di Cadden-James e dall’ugola abrasiva dell’ospite speciale Clay Barton (Suspyre) – così come sulla grandiosa ‘Strong’. Qui il mattatore è un certo Ralf Scheepers: impressionanti quello che tira fuori dalla propria ugola, un timbro peculiare ma soprattutto doti interpretative fuori dal mondo. Il pezzo si incastona fra i gioielli dell’album, in bilico fra distorsioni anni ’80 e tastiere ’70, al centro di un diadema già ricco di preziosi. Come la title track. ‘Digital Ghosts’ è il manifesto degli odierni Shadow Gallery oltre che una sorta di tributo alla musica che la band pennsylvana ha fatto propria negli anni. Dai Queen vengono gli intrecci di cori e voce solista, dai Pink Floyd il colore liquido dell’introduzione, dai Dream Theater l’avvincente coda strumentale, senza trascurare le sottili sfumature jazz che fanno capolino fra strofa e refrain. Il ricordo di Mike è in un sorriso, immortalato da testi che splendono di nuova speranza.

Alla vigilia dell’uscita dell’album qualcuno (come di nuovo il sottoscritto) aveva nutrito più d’una riserva sull’opportunità di portare avanti gli Shadow Gallery senza Baker. Se pure la sua morte rappresenta un tragico spartiacque fra ciò che gli Shadow Gallery erano e ciò che gli Shadow Gallery saranno, ‘Digital Ghosts’ mostra quanto la band ha ancora da dire sulla scena odierna. Senza neppure il bisogno di inventare nulla. Anzi, delle due prendendo a prestito – per non dire rubacchiando qua e là. L’inaudita calunnia cessa di essere tale una volta prestato orecchio alle già citate influenze pinkfloydiane e dreamtheateriane sulla title track, o agli echi Queen nelle chitarre della peraltro magnifica ‘Haunted’, ovvero, caso ancor più esplicito (sebbene forse casuale), al riff principale di ‘Gold Dust’, che è di fatto lo stesso di ‘One’ dei Fates Warning (da ‘Disconnected’, 2000), pausa prima del bridge compresa. Del resto, se è vero quel che diceva il vecchio pittore – che i bravi artisti copiano e i grandi artisti rubano – gli Shadow Gallery sembrano avere stile a sufficienza per farsi perdonare al pari dell’incorreggibile Lupin.

Imperdonabile sarà piuttosto chi rinuncerà a procurarsi l’edizione limitata dell’album: le tracce extra ‘Two Shadows’ e ‘World Of Fantasy’ sono ballad che non dovrebbero mancare nella discografia di nessuno che voglia dirsi fan della band, non fosse altro per il fatto di essere le ultime tracce registrate da Mike Baker alla voce. ‘Two Shadows’ è destinata a rappresentare in qualche modo il suo testamento spirituale: la sue melodie graffiano nella pelle e nell’anima, risvegliando un dolore che mai cesserà di bruciare. ‘World Of Fantasy’, semplice demo, è la perla. Semplice e incantevole nel suo garbato accompagnarsi di voce e pianoforte, con le chitarre che compaiono a tratti per soffiare discrete un gentile alito psichedelico, è forse il pezzo più romantico su cui Mike abbia mai posto la voce.

Lo si è detto: parlare di questo disco è difficile, valutarlo pura utopia. Troppi i fattori emotivi in gioco, soprattutto se si tiene conto dei contenuti aggiuntivi, che al sottoscritto proprio non riesce di pensare come semplici bonus. Forse fra qualche anno sarà possibile dare un giudizio più distaccato su ciò che ‘Digital Ghosts’ rappresenta nella storia della band. Per il momento l’unica cosa sensata da fare sarà smettere i panni del critico o dello storico, e una volta tanto abbandonarsi alla musica, ai suoi ricordi e alle sue contraddizioni, con tutta la parzialità del cuore.

Questi sono gli Shadow Gallery: è cambiato tutto e non è cambiato nulla.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. With Honor (9:59)
2. Venom (6:21)
3. Pain (6:22)
4. Gold Dust (6:45)
5. Strong (6:50)
6. Digital Ghost (9:37)
7. Haunted (9:36)
8. Two Shadows (5:08) *
9. Gold Dust (demo, 6:02) *
10. In Your Window (2:53) *
11. World Of Fantasy (demo, 4:39) *

*bonus track

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