Recensione: Dim Days of Dolor

Di Luca Montini - 27 Dicembre 2016 - 0:00
Dim Days of Dolor
Band: Sirenia
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2016
Nazione:
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65

Stavolta ce l’hanno fatta. Hanno vinto loro. Vae victis. Aspettavo sghignazzante i Sirenia al varco, dopo l’ultimo (almeno) debole disco uscito un annetto fa, “The Seventh Life Path” (2015), che inanellava l’ennesimo risultato poco soddisfacente per la band di Morten Veland. Ormai con l’insufficienza caricata e pronta al fuoco, mi giunge la notizia del cambio di cantante. Allontanata la bella ma algida frontwoman spagnola Ailyn, poco brillante nella sua esperienza in casa Sirenia con la sua vocina lamentosa; entra in scena la francese Emmanuelle Zoldan, originaria di Aix-en-Provence e dotata di una timbrica più corposa e decisa, già in forze ai Sirenia da ben 13 anni in qualità di corista. Il risultato è “Dim Days of Dolor”, un disco che non prova neppure ad allontanarsi dal gothic metal proposto dalla band norvegese, pur riuscendo a limare e migliorare alcuni aspetti in maniera significativa.

La virata più decisa, ce ne accorgiamo immediatamente, riguarda le linee vocali. La mezzosoprano Emmanuelle Zoldan interviene su partiture già scritte e registrate nello studio norvegese di Morten, ma mai registrate dalla precedente cantante, a quanto sembra allontanata per problemi di salute. I brani si fanno ancor più melodici, quasi radiofonici nei ritornelli, pur mantenendo le tinte fosche e malinconiche tipiche dei mortiferi Sirenia. La titletrack parla – e canta – chiaro. Non siamo ai livelli dei Delain, ma ci avviciniamo alla strizzata d’occhio. Gli interventi in growl del mastermind sono ridotti all’osso, mentre si fa sentire gradevolmente la presenza della voce maschile pulita di Joakim Næss nella già citata “Dim Days of Dolor” ed in “Veil of Winter” a duettare con la vera protagonista di questa nuova incarnazione dei Sirenia. Il disco insomma offre una discreta varietà di panorami e sfumature emotive, dall’arrembante e corale “Goddes of the Sea” alla più lamentosa “The 12th Hour” (unico episodio che potrebbe essere un buon pezzo del disco precedente) alla sinfonica “Ashes to Ashes”, al bell’intermezzo in francese di “Playing with Fire”, fino alla chiusura malinconica voce e piano di “Aeon’s Embrace”. Bella anche “Fifth Column”, che ricorda gli Xandria ed in cui ricompare il growl del buon vecchio Morten

La mia insufficienza ai Sirenia dovrà aspettare. “Dim Days of Dolor” si rivela un disco abbastanza piacevole, che si rafforza ascolto dopo ascolto. Nessuna innovazione, niente che possa elevare la carriera di una band generalmente mediocre che scrive dischi per consolidare una fanbase già acquisita piuttosto che ampliarla a colpi di genialità ed intuizioni estrose. Anche se la vetta sembra lontanissima, possiamo comunque accontentarci: l’abisso della noia per stavolta è stato evitato con grazia e classe, confezionando un prodotto imprevedibilmente vario e sfaccettato, lungi dai tenui giorni di dolore preconizzati nel titolo.

Luca “Montsteen” Montini
 

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