Recensione: Distance|Collapsed

Di Andrea Poletti - 6 Aprile 2016 - 1:00
Distance|Collapsed
Band: Inverloch
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Il death doom è un affare per pochi, non molti sono in grado di suonarlo intelligentemente e con maestria. Ai meno avvezzi il nome Inverloch non potrebbe dire nulla, erroneamente si potrebbe ipotizzare la classica “nuova” realtà uscita e sponsorizzata dal nulla che ha dietro la spinta del grande management. Non è così perfortuna. Chi si ricorda invece i mai dimenticati Disembowelment e il loro unico album Trascendence Into the Peripheral, ha ben presente di chi e cosa stiamo parlando. Paul Mazziotta e Mattew Skarajew (rispettiavamente batterista e bassista della meteora australiana) han deciso di rimettersi in pista insieme a tre nuovi membri, dando vita alla nuova immensa realtà mondiale del death doom. Inizialmente si facevano chiamare d.USK e bazzicavano i sobborghi suonando solamente pezzi dalla ex band cardine, visto il consenso e l’ispirazione avuta, come volevasi dimostrare il flusso di idee non ci ha messo molto prima di portare in vita nuovi brani e nuove idee, figlie del passato ma con l’occhio estremamente vigile sul presente. Già usciti nel 2012 con l’EP Dusk|Subside gli Inverloch dimostrano attraverso questo nuovo full-lenght come la classe, la padronanza e l’esperienza diventino fondamentali per riuscire a domare l’istinto e creare professionalmente oscure visioni terrificanti.

Distance|Collapsed non ci mette molto tempo a diventare un mazzata tra i denti pronta solamente a buttarti a terra, lasciandoti soffocare nel tuo io oscuro. La titletrack parte lenta, sulfurea con un malinconico incidere, echi del funeral doom vagano liberi ed indottrinati attraverso strutture musicali lente e senza tempo, mentre incosciamente si diventa perte del vuoto. Le parti più veloci sono il sintomo della malattia inniettata in profondità da creatore ad ascoltatore: provare piacere in certe soluzioni stilistiche equivale al decadimento della mente, al flusso che tutto inghiotte e precipita all’infinito attraverso il mortale susseguirsi degli eventi. La successiva From the Eventide Pool è una calata verso gli inferi, tu solo tra i demoni cerchi via di scampo mentre il mondo collassa e ti sorreggi su spire più forti dell’immaginazione stessa; una metafisica visione del nulla, un vacuo esistere dove il funeral doom poggia le basi per comandare gli istinti sprovvisti della luce per l’uscita di sicurezza. Lucid Delirium è la cavalcata negli abissi, un fraseggio pesante, intollerante e indefinito per sei lunghissimi minuti stermina terrore e paura; la fine delle speranze dove la solitudine diventa un tutt’uno con la disperazione. Un costante divenire di informazioni pronte alla guerra finale per cancellare il conoscibile e delineare nuovi orizzonti vitali. The Emperyan Tormet sono undici minuti di sfogo figli del substrato della psiche, malsane visioni che si incanalano dentro quel mondo autoctono, che gli Inverloch delirano attraverso oscure figure e sinistri presagi. Nulla è lasciato al caso, anche il crescendo verso la fine ti avvolge tra spire e convulsioni, tutto è studiato e pensato chirurgicamente; no, questo non è una musica per vecchi. La conclusione è fornita a malincuore dalla introspettiva Cataclysm Of Lacuna; la mancanza, la carenza, la distanza, l’annientazione, la migrazione, il disperdersi, il lamento e l’agonia diventano un immenso circolo vizioso per trovare linfa mortale attraverso i ritmi che rintoccano il tutto e lasciano prigionieri senza uccidere, la sofferenza è più piacevole. Non v’è speranza oltre i sei minuti di questa traccia, la morte, la speranza più allegra e ragionevole si districano indemoniate fino al fade-out doveroso dove tutto s’inghiotte e il la luce alla fine del tunnell svanisce effimera e impalpabile.

Distance|Collapsed dimostra quanto una realtà valida, formata da musicisti navigati non potrà mai perdere lo smalto e diventare fantasia assurda o mera illusione; siamo tutti bene o male debitori, nel genere qui trattato, verso i Disembowelment. Aver cambiato nome, aver cambiato leggermente stile e prospettiva non ha affievolito di un solo istante la voglia di distruzione e il racido sapore del nero più indemoniato dove solo chi ha il “potere” detiene lo scettro del death doom contemporaneo. Possono cambiare i componenti, le figure sulle foto promozionali e la strumentazione ma se rimane immobile in nucleo concettuale/compositivo come in questo caso, la qualità e la conferma di un facile approdo verso il male è dietro l’angolo. Tutto questo non è altro che oscura gloria. Sfido a fare di meglio, sfido a immedesimarsi di più in meno di tre quarti d’ora di dolore, sfido chiunque a trovare qualsiasi difetto all’interno di questo album che non regala molti sorrisi pur lasciando paradossalmente soddisfatti; quella insana sensazione di libertà sulla pelle a fine di ogni ascolto non è roba di poco conto. Probabilmente la produzione poteva essere curata leggermente meglio, sopratutto nei bassi che vanno a paerdersi a discato di chitarre leggermente troppo rialzate rispetto al contesto, ma credo siano dettagli surclassabili visto il risultato finale. Tutti sappiamo che le distanze negli umani tra mente e corpo meno hanno informazioni più si avvicinano reciprocamente, qui siamo tutti parte dell’unico grande progetto collassato denominato non-vitaInverloch: quanta gioia.

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