Recensione: Distortion

Di Andrea Bacigalupo - 6 Aprile 2016 - 12:03
Distortion
Band: Forbidden
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1994
Nazione:
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60

“Distortion” è il terzo album della band californiana Forbidden. È uscito nel 1994, anno in cui in America il Grunge è duramente colpito dalla morte di Kurt Kobain (R.I.P.)  leader dei Nirvana, avvenuta il 5 aprile. L’Alternative Metal perde un po’ di terreno e al suo posto comincia a subentrare il “Nu Metal” movimento la cui particolarità di mischiare vari generi, fondendoli con la matrice “heavy”, entusiasmerà parecchi fans.
I Savatage iniziano a virare verso una direzione più sinfonica immettendo sul mercato “Handful of Rain”, primo album dopo il prematuro decesso del talentuoso ed inimitabile Criss Oliva.

Anche molte band Thrash della bay-area incidono, cercando vie più commerciali, rinunciando alla velocità in favore di sonorità più “groove”: gli Overkill, gli Annihilator ed i Testament pubblicano rispettivamente i discreti “W.F.O.”, “King of the Kill” e “Low”. I Megadeth danno alla luce il vendutissimo “Youthanasia” (e qui non posso non far notare che il platter contiene “Tout le monde”, track che verrà registrata nuovamente nel 2007 ed inserita nell’album “United Abominations” con la voce della nostra connazionale Cristina Scabbia dei Lacuna Coil).
Gli Slayer, andando controcorrente, sfornano “Divine Intervention”, che ripropone le velocità di “Reign in Blood” pur non eguagliandolo e nel quale suona Paul Bostaph, ex batterista dei Forbidden.

Anche per il Thrash europeo la situazione è più o meno la stessa. I gruppi tedeschi, che nel decennio che va dal 1980 al 1990 avevano pubblicato album storici ed ineguagliabili (si pensi ai Kreator, ai Sodom, ai Destruction od ai Tankard, per citare i più rappresentativi) hanno, in quel periodo, poco da dire. Lo evidenziano uscite tipo “Jesus Killing Machine” del supergruppo Voodocult (tra i membri Dave Lombardo degli Slayer, Chuck Schuldiner dei Death e Mille Petrozza dei Kreator). L’album fonde il Thrash con il groove ed il doom; pure l’omonimo EP dei Destruction o  l’altalenante “Get what you deserve” dei Sodom lasciano intravedere il cambiamento artistico in atto.  

Nel 1994 dunque, mentre la “trasformazione” musicale del Thrash è ormai radicata, i Forbidden, combo della seconda ondata del genere, dopo essersi imposti al mondo con uno primo strepitoso “Forbidden Evil”(1988) che mette la pelle d’oca ancora oggi ed un secondo “Twisted into Form” (1990), pubblicano la loro terza fatica “Distortion”, album anch’esso basato sul mid-tempo e sulla pesantezza dei suoni.
Il terzo disco poteva consacrarli, inserendoli tra i grandi, come avvenuto ai Metallica con “Master of Puppets”, agli Anthrax con “Among the living” o agli Slayer con il già citato “Reign in Blood”, invece non è andata così. Per dirla in poche parole, se un ragazzo nel 1994 desiderava comprare un disco, difficilmente avrebbe scelto “Distortion”.

Questo non tanto per colpa della composizione dei brani, che può dirsi discreta, bensì per l’arrangiamento. La sensazione è che durante la registrazione abbia prevalso la fretta di completare il lavoro senza affinarlo, lasciando alla luce difetti che potevano essere perlomeno limati. Quasi tutti i cambi di tempo e i soli sono scollegati, non si armonizzano e non si integrano con il contesto compositivo. I refrain sono ripetuti all’infinito, allungando inutilmente le canzoni e rendendole, nella maggior parte dei casi, noiose. La notevole durata del lavoro (quasi un’ora) fa sì che il tutto suoni prolisso.
La voce di Russ Anderson è piatta e monocorde e non dimostra alcun miglioramento rispetto a Forbidden Evil: sembra quasi regredisca dall’altissimo livello qualitativo dei primi due album. Si salva poco di “Distortion”. Per quanto i musicisti siano eccellenti e lo abbiano dimostrato in passato, garantiscono la sufficienza “Feed the Hand”, dove si respira la cara e vecchia atmosfera tipica dell’Heavy Metal fine anni ’80, “Mids I”, dove è presente l’unico vero assolo e la cover dei King Crimson “21st Century Schizoid Man”, pezzo jazz-psichedelico originario del 1969 (dall’album “In the Court of the Crimson King”). Riguardo quest’ultimo, i Forbidden lo rendono molto potente utilizzando riff e pesantezze del sound tipico dei primi Black Sabbath. Peccato l’aver scelto l’utilizzo della voce filtrata (che non è presente neanche sulla versione originale) e un finale cacofonico troppo lungo.
Certo è che, se l’album fosse stato più curato ed arrangiato come “21st Century Schizoid Man”, il risultato sarebbe stato maggiormente apprezzabile. Chiude il tutto una cortissima ghost-track strumentale anonima che inizia improvvisamente dopo circa un minuto e quaranta secondi di silenzio. Forse doveva indicare la nuova direzione del gruppo: Heavy Metal influenzato da atmosfere gotiche, sound oscuri derivativi dell’heavy metal più datato. Curiosità: la versione Giapponese contiene un’ ulteriore cover: “Rip ride” dei Venom.

Purtroppo il mio personale giudizio sull’album, pur rispettando il gruppo e riconoscendone le doti di musicisti, non può che essere “appena sufficiente”. Può essere consigliato solo agli affezionati dei Forbidden e agli amanti incalliti del genere.

Andrea Bacigalupo

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