Recensione: Distruzione Di Massa

Di Matteo Bovio - 1 Novembre 2004 - 0:00
Distruzione Di Massa
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Anno: 2004
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78

Basta con la pulizia. 300 copie incaricate di diffondere un messaggio musicale grezzo, poco gradevole, politicamente scorretto, indesiderabile. Questo lavoro riesce a farmi tirare un sospiro di sollievo ogni volta che mi sorge il dubbio che la massima aspirazione delle band odierne sia l’indolore Thrash / Death di nuova generazione o la sterilità di certe pseudo-avanguardie. I Distruzione Di Massa sono in sè un’abbondante presa di distanza, a livello concettuale così come a livello musicale. Da una già sperimentata commistione tra provocazione, irriverenza e un pizzico di celata ironia nasce un lavoro assolutamente azzeccato, manifesto di pulsioni musicali semplici e istintive, uno schiaffo ai nuovi “moralisti del metal”.

E’ Giulio (aka Morgoth) a tenere le redini del progetto. Andate a chiedere a lui se specchiarsi nelle mie parole sia un modo per nascondere carenze compositive. Chiedetegli se tutto ciò sia una maschera davanti all’inettitudine dei musicisti. La risposta sarà un “no” di quasi venti minuti, tanta quanto la durata di questo Distruzione Di Massa. Con l’aiuto di Federico Torment (chitarra) e Mario Mariet Giannini (batteria) in veste di guests, il nostro ha dato corpo in maniera impeccabile a cinque composizioni, cinque ibridi. L’incrocio è tra Death old-style, accenni Grindcore e abbondanti spruzzate (anche attitudinali) di Hardcore. Una miscela che esplode sin dalla prima “Mi Hanno Stuprata“: alla reiterazione delle chitarre danno mobilità l’ottimo drumming e il cantato del mainman. La timbrica è spesso modulata, pur non abbandonando mai quella carica evidente soprattutto nelle parti in scream.

“Lavora Per Morire, Muori Per Lavorare” è l’episodio più classico, se escludiamo la cover dei Bolt Thrower in chiusura. Stavolta è il mordente ritmico a far da traino, suggerito non solo dalla batteria ma anche dal riffing. Invece va a “Masse Di Schiavi“, almeno a questo punto dei miei ascolti, il titolo di miglior canzone: seppur non sia quella che ascolto necessariamente più volentieri, è quella che a un’analisi distaccata offre più spunti personali e una miglior fusione e scioltezza nei passaggi. Tutta la follia di questa canzone trova un freno, un contenitore, solo nella buona esecuzione e nella bella registrazione.

Limiti del lavoro? Qualche struttura un po’ ridondante (e, all’interno di un sound così volutamente scarno, si sente) e qualche leggera scivolata in esecuzione sulla cover. Ma questo non basta a offuscare l’ottima qualità del debutto di questa nuovissima band nostrana. Ascolto assolutamente consigliato per tutti gli amanti dell’estremo, dove estremo non significa nè vocione cattivo nè inettitudine musicale nè cazzate simili. La concezione estrema della musica è altrove, in un luogo lontano anni luce dalla gran maggioranza delle band che oggi sfoggiano tale aggettivo senza gran cognizione del suo significato; in quel luogo attualmente si sono accampati i Distruzione Di Massa, e, motivo per tenerli in considerazione, non hanno certo rinunciato alla qualità (giusto perchè nessuno venga poi a dirmi che considero l’estremo in sè una garanzia). Attendo con impazienza un seguito.
Matteo Bovio

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