Recensione: Diversity

Di Vittorio Cafiero - 19 Gennaio 2018 - 23:39
Diversity
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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75

E’ con un classico breve prologo cinematico che gli Invisible Enemy, giovane band di Helsinki, introducono al pubblico internazionale “Diversity”, il loro debut album autoprodotto e distribuito alle varie testate con l’obbiettivo di iniziare a far girare la propria musica, che si affaccia in un mercato sempre più saturo.  L’approccio del gruppo finlandese è decisamente tradizionale, siamo nell’ambito di un power metal solido, lontano da barocchismi di matrice europea così come da influenze power-speed teutoniche. Lo stile solido e robusto, non completamente privo di melodia, appare sicuramente più influenzato da un certo thrash di fine anni ’80-inizio ’90, che rende la proposta degli Invisible Enemy abbastanza vicina come genere a quanto fatto dai mai troppo lodati Morgana Lefay. La vicinanza con la band di Bollnäs si percepisce anche e soprattutto nelle vocals di Sampo Riihimaki (per altro, recentemente uscito dalla line-up e sostituito da Jouni Alho) che ricordano quelle di Charles Rytkönen.

L’opener, nonché title-track, inquadra bene non solo lo stile del gruppo, ma rappresenta bene le caratteristiche dell’intero album: un songwriting più che discreto, un buon tiro così come un lavoro di tutto rispetto in fase di arrangiamenti. Tra gli aspetti meno positivi, una proposta non originalissima e una produzione non eccezionale. Su quest’ultimo punto, come scusante può esserci certamente la penuria di mezzi che la scelta dell’autoproduzione impone. Tuttavia, bisogna ammettere che sul suono del rullante si poteva e doveva fare di più. Con la successiva “Commandos” si preme sull’acceleratore e anche la pesantezza aumenta, per un pezzo di sicura presa dal vivo. Menzione speciale per la fase solistica, che vede un ottimo alternarsi tra chitarra e tastiera. Con “Worthless Heart”, per cui è stato anche da poco realizzato un videoclip, c’è un immediato rallentamento di ritmi ed atmosfere: trattasi di una classica power-ballad di stampo finlandese, nel senso che il pensiero di chi scrive è subito volato a certe atmosfere care ai Sentenced) dove gli Invisible Enemy, se non eccellono in originalità, ancora una volta dimostrano di saper curare l’arrangiamento del pezzo. The End Of The Universe” ha un taglio più moderno grazie ad una breve introduzione sostenuta da sintetizzatori molto tecno e poco metal, ma poi si sviluppa robusta e virile, con un Sampo Riihimaki assolutamente sugli scudi. Si prosegue con “Destination Unknown”, pezzo ben costruito che parte solenne e riflessivo, vede poi l’entrata in scena di Jenni Räikkönen come guest femminile alla voce e man mano guadagna in potenza e velocità. Nessuna pausa perché è già il momento di “Prey”, probabilmente il pezzo più violento del lotto (e anche i testi non lasciano spazio all’immaginazione). In questo caso il thrash non è davvero poi così lontano. Ci si avvia verso la conclusione, con la valida “In The Name Of God”, altro valido esempio di come gli Invisible Enemy siano vicini ai Morgana Lefay per stile certamente, ma anche per la capacità di creare facilmente pezzi diretti, solidi e di facile presa. In questo caso, da dire, i giovani Finlandesi si prendono il lusso di creare all’interno del pezzo un approfondito excursus che varia sul tema principale. Da qui si capiscono le potenzialità di una band solo all’esordio. Chiude l’ambiziosa “The Fate Of Atlantis”, lunga strumentale che su una base power metal vede Aapo Salo dare sfoggio di ottime capacità compositive in fase di orchestrazione. In questo caso ci si allontana palesemente dal canovaccio del pezzo pesante e “straight-to-your-face” per addentrarsi in territori nuovi e ambiziosi, dalle connotazioni sinfoniche nemmeno troppo nascoste.

“Diversity” convince da più punti di vista, specialmente considerando che si tratta di un album di debutto: le capacità compositive ci sono, gli arrangiamenti sono più che validi e, anche a livello tecnico, le prestazioni fornite sono soddisfacenti. Da migliorare la cura dei suoni (anche a livello di autoproduzione, specialmente nel Nord Europa, si può fare di molto meglio) e sicuramente già dalla prossima uscita sarà d’uopo insistere sulla ricerca di maggiore originalità. Buon lavoro, quindi, agli Invisible Enemy!

Vittorio Cafiero

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