Recensione: Down To The Bone

Di Fabio Vellata - 9 Settembre 2009 - 0:00
Down To The Bone
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Anno: 2009
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73

La storia degli Electric Mary prende il via nel corso del 2003, quando il futuro leader e cantante del gruppo, Rusty, di passaggio nella “grande mela” in cerca d’ispirazioni musicali, ebbe ad imbattersi nei celebri Electric Lady Studio di Hendrixiana memoria e nella loro manager, Mary Campbell.
Colpito da quegli ambienti – così imbevuti di storie e leggende – e affascinato dalla passione trasmessagli da Miss Campbell, il singer trovò ben presto territorio fertile per la propria creatività, fondando una band che potesse essere omaggio a tale significativo incontro sin dal suo moniker, “Electric Mary”, per l’appunto.
 

“Down To The Bone”, secondo album del gruppo originario di Melbourne – Australia, giunge tuttavia dopo ben sei anni da quell’esperienza e dopo un debutto – edito nel 2004 – praticamente sconosciuto ed introvabile.
Non esistono indizi per apprendere se questa sia una mera mossa commerciale volta a cogliere l’attimo propizio, o la naturale evoluzione delle cose: sin dal manifestarsi delle prime note, è ad ogni modo impossibile non percepire netta la traccia di un’epoca fascinosa ed influente come quella degli anni settanta, presente non solo nelle trame musicali, ma riconoscibile finanche dalla peculiarità dei colori e dell’immagine di copertina, tutto fuorché affine ai prodotti del nuovo millennio.
Chitarre ribassate, trame votate ad un hard rock essenziale seppur non privo di carattere e la voce del già citato frontman Rusty – del tutto simile a quella del grande Steven Tyler – mettono in risalto un campionario che, ormai, appare ben frequentato e non brilla per innovazione o troppa originalità, ma riesce in qualche circostanza a rivelarsi efficace, suscitando sensazioni “vintage” tutt’altro che spiacevoli.
Basti citare ad esempio, la martellante opener “Let Me Out”, o l’altrettanto accesa “No One Does It Better Than Me”, due semplici campioni dì quanto gli Electric Mary intendano proporre.
Hard Rock ruvido ed un po’ fricchettone, con grandi quantità di feeling e poca voglia di impegnarsi troppo.
Nessun capolavoro dunque, alcun miracolo stilistico, ma un discreto assaggio d’atmosfere settantiane che viaggiano a cavallo tra gli accenni stoner rock di tracce voluminose come “Gasoline And Guns”, “Crashdown” e “Do Me” e l’hard fangoso ed allucinato di “Sorry”, “Luv Me” e “Busted”, cui si aggiungono le “follie” evidentemente ispirate ad Hendrix di “Spread The Electric Luv” e “All Comin’ Down”, a rafforzare una tracklist corposa nei numeri e di discreto fascino nella sostanza effettiva.

In Australia, loro terra natia, sono al momento considerati nomi eccellenti del panorama rock nazionale. Probabilmente tale fama non supererà intatta i confini di casa, smorzandosi – perse le ragioni campanilistiche – sino a giungere a noi sotto forma di semplice novità di un qualche interesse per i fan dei generi connessi.
Gli Electric Mary alla prova dell’ascolto in ogni caso non spiacciono affatto, mostrano buoni numeri e dispongono, a dispetto di un’immagine volutamente retrò, di ottimi suoni e produzione.
Tuttavia, il persistere di alcune trame, tende talvolta a conferire loro un che di statico e ripetitivo. In altre parole, monotono.

Meglio dunque cautelarsi. Qualche ascolto preventivo e soprattutto, attitudine per il genere, siano requisiti fondamentali alla base di ogni possibile ed eventuale valutazione d’acquisto.
Chiunque si dica invece smodato sostenitore di tutto ciò che è “seventies”, superi ogni remora senza troppi patemi. Le soddisfazioni in tal caso non mancheranno.

 

 


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Tracklist:

01. Let Me Out
02. Gasoline And Guns
03. No One Does It Better Than Me
04. Right Down To The Bone
05. One In A Million
06. Sorry
07. Crashdown
08. Luv Me
09. One Foot In The Grave
10. Do Me (Long Way From love)
11. Spread The Electric Luv
12. All Comin’ Down
13. Busted

Line Up:

Rusty – Voce
Irwin – Chitarra
Pete – Chitarra
Neilo – Basso
Venom – Batteria

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