Recensione: Dreamchaser

Di Luca Montini - 7 Gennaio 2015 - 0:00
Dreamchaser
Band: Victorius
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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50

Giungono al loro terzo disco i tedeschi Victorius, a poco più di un anno dal precedente “The Awakening” (2013), forti del tour dell’anno scorso con i connazionali Freedom Call e di una maggior sicurezza acquisita sul palco. La band propone un power metal ad altissima velocità, che potremmo descrivere come una possibile risposta teutonica al genere che vede i Dragonforce come massimo esponente – e con  tanti, forse troppi epigoni. Riusciranno con questa release ad entrare nel mondo dei ‘grandi’ del genere?

Fin dal primo ascolto si fa apprezzare la produzione: potente, rocciosa e cristallina. I ragazzi hanno indubbiamente stile, e ce lo vogliono mostrare fin da subito: insolito arpeggio di basso e subito a menar fendenti di doppia cassa e riffing da consumare il plettro per “Twilight Skyes”, pezzo senza infamia e senza lode che ricorda davvero da vicinissimo i già citati Dragonforce. Con tando di “aaaah” al posto di “woooh” alla fine dei solos, seguito dal ritornello “pulito” e di nuovo ritornello velocissimo. Stessa solfa in salsa più dark per “Day of Reckoning”, con il ritornello che prova a rallentare.
Scendiamo a patti con l’epic con “Dragonheart”, con tanto di tastiere clavicembalesche stile Stratovarius. Il ritornello sa di già sentito mille volte, anche se la voce di Thomas Winkler (GloryHammer) aggiunge varietà al pezzo. I testi già giunti fin qui dimostrano una notevole povertà.
Il disco di qui in avanti non offre davvero nulla. Tanta velocità, poche atmosfere; tanti muscoli, poco cervello – e purtroppo non è un album dei Manowar. “Fireangel” e la titletrack “Dreamchaser” faticano a decollare (nonostante la doppia cassa continua ne faccia dei validi elicotteri), ritornelli da dimenticare. Si può fare peggio? Certo! Il ritornello di “Battalions of the Holy Cross” reclama un ripassone sui libri di storia. Zero idee, ma tanto un testo andava pur scritto… 
Speedracer” è un po’ il manifesto programmatico della band: i ragazzi sono di fretta, e l’alternate picking martellante è un loro segno distintivo. Si era capito. C’è pure una citazione, presumo volontaria, al titolo di un celebre videogioco di corse EA Games
Unico brano capace di spezzare, riposto alla fine del disco, la ballad “Silent Symphony”, nella quale la band non si trova a proprio agio, e prova con un arpeggio ad ammorbidire. Anche qui, strofa sentita e risentita ma ancora sufficiente, per crollare in un ritornello assolutamente povero ed avaro di emozioni, complice la voce overprodotta e soffocata dalle chitarre (backing e power chords). Mi aspettavo di più.

Ho ascoltato questo disco decine di volte: in auto, al PC, al WC… niente da fare. Un album che non decolla, complice un songwriting assolutamente privo di qualsivoglia forma di ispirazione, dalle liriche inverosimilmente banali, iperboliche ed autocelebrative (de che?) alle ritmiche stereotipate e viziate da un complesso della velocità a la: “Corri Forrest! Corri!”. Quando oltre il decimo ascolto il disco ti sembra ancora un unico polpettone senza capo né coda la bocciatura vien da sé. Per scrivere un buon album ci vogliono umiltà e senso della misura. Bisogna avere tecnica, ma al contempo fantasia, intuizione e genialità per proporre qualcosa che dia un senso al tuo essere-nel-mondo (del metal): in questo senso i Dragonforce hanno costruito il proprio marchio di fabbrica, oltre che sul “suonare veloce”, su un certo utilizzo degli effetti e sulla ricerca sonorità di matrice videoludica, senza contare le numerose melodie davvero azzeccate nella loro discografia. 
Morale della favola: a quanto pare i Victorius sanno suonare i propri strumenti molto velocemente… ma quando mancano i pezzi, c’è poco da fare. Solo la produzione riesce a salvare il disco, il che è doppiamente deleterio: non c’è niente di più brutto del brutto mascherato al Photoshop
Dreamchaser” è un album sconsigliato a tutti, anche ai fan dei Dragonforce – il cui “Maximum Overload” (2014) è davvero anni luce avanti – ricordando ai giovani tedeschi che gli anni luce misurano la distanza, non la velocità.

Ci vuole ben altro per (auto)definirsi Victorious

 

“Side by side we’re standing strong
Born to conquer the universe”

 

Luca “Montsteen” Montini

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