Recensione: Dreamless

Di Gianluca Fontanesi - 9 Maggio 2016 - 0:01
Dreamless
Band: Fallujah
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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72

Francamente parlando, viviamo in un periodo in cui questa cosa del technical death ci sta leggermente sfuggendo di mano. Si è un po’ perso il senso di quello che dovrebbe essere il death metal in favore del mero esercizio stilistico, con l’ovvio risultato di un ritorno sempre più massiccio e prepotente delle sonorità estreme old school senza troppi barocchismi artisticamente utili come una banconota da 3 euro. In questa corsa al metronomo, perché sembra una gara a chi suona più velocemente, i Fallujah riuscirono con l’ottimo The Flesh Prevails a distinguersi dalla massa empirica in favore di una proposta decisamente più personale e riconoscibile, riuscendo a porre le basi per una gran bella carriera. C’era quindi grande attesa per il neonato Dreamless ma, come vedremo, la band di San Francisco è riuscita solo in parte a soddisfare le aspettative e l’attuale proposta presenta alcuni difetti sì superabili ma parecchio evidenti.

 

Il compito di aprire le danze è affidato a Face Of Death che, più che un brano vero e proprio, si rivela un’intro efficace ma non proprio memorabile; Adrenaline preme presto sull’acceleratore e inizia ufficialmente le ostilità. Sono subito presenti gli elementi che rendono unici i Fallujah: partiture estreme e dal buon contenuto tecnico accompagnate da chitarre oniriche e sognanti. Il contrasto ferocia – ambient funziona molto bene anche se, in questo caso, vi è un po’ di confusione e vi sono dei punti in cui è onestamente presente troppa roba, col risultato che l’ascolto diventa opulento e invadente. Dreamless è così: un disco che passa da ridondanza quasi fastidiosa a momenti di puro genio come la parte centrale della successiva The Void Alone in cu fa capolino anche una voce femminile (Tori Letzler). Non siamo ai livelli dei Cult Of Luna ma l’intermezzo fa una gran figura, e la ripartenza è da annali. Abandon e Scar Queen sono, in tutta franchezza, l’apice dell’album e raggiungono vette stilistiche davvero alte. Sono entrambi brani d’impatto, progressivi al punto giusto e concepiti in maniera sublime. C’è più cantato in Dreamless rispetto a lavoro precedente, e la cosa può essere si un pregio ma anche un difetto: la voce di Alex è potentissima e si sposa molto bene con la proposta della band. E’ però anche monocorde e poco varia; potrebbe stufare, complici anche linee vocali tutto tranne che memorabili. La sezione ritmica offre invece una prova in grande spolvero per tutta la durata dell’album; i pattern sono ricchi e ben congegnati, e il fretless disegna trame in grado di stupire l’ascoltatore ben più di una volta. Nulla da dire sulla produzione, che risulta pulita e in grado di dare il giusto valore ad ogni strumento; il suono della batteria è un po’ di plastica, ma ci si abitua in fretta. La titletrack, strumentale, si rende quindi a questo punto necessaria e va a chiudere in maniera più che degna la prima parte dell’album, sfoggiando virtuosismi e arzigogoli centrati e mai fini a se stessi.

 

Ogni medaglia ha due facce, e, se la prima parte di Dreamless risulta tutto sommato buona, non si può di certo dire lo stesso della seconda, durante la quale sopraggiungono altri ostacoli in grado di compromettere la resa totale del disco. The Prodigal Son è un pezzo discreto che inizia a dare segni di cedimento particolarmente sul finale, sfumato troppo in fretta e buttato lì non si sa come; Amber Gaze migliora invece di poco le cose risultando abbastanza violenta e cadenzata. A questo punto però subentra la noia, complici, come detto, le linee vocali e un minutaggio davvero eccessivo; per un disco del genere 40 minuti sono più che sufficienti, un’ora appare francamente troppa, specialmente quando inizi ad inserire tracce come Fidelio puramente per fare minutaggio e senza un senso apparente. Vi è la sensazione che sia stato fatto il passo più lungo della gamba in certi frangenti; Wind For Wings nulla aggiunge e nulla toglie a quello proposto finora, anzi, lo ribadisce ma senza strafare. Fanno capolino un paio di clean vocals ma niente di memorabile; andavano inserite in maniera più mirata e magari con una maggior frequenza per poter dare respiro al tutto. Les Silences che ci fa qua? Va bene l’intermezzo, va bene l’allungare il brodo, ma 5.56 di elettronica nemmeno coinvolgente riuscirebbero a disossare gli attributi anche del fan più devoto rendendoli pappa. Fatevi un favore e premete skip, brano onestamente improponibile e fastidioso. Lacuna chiude il lotto in maniera ormai anonima e gratuita con un picchiare che non fa più notizia e l’ascoltatore stanchissimo e sfiancato.

 

Passo indietro quindi? Decisamente si. The Flesh Prevails era un disco si più ingenuo ma anche più fresco, snello e con tutto al posto giusto; qui appaiono difetti strutturali e varie lacune in grado di penalizzare notevolmente il lavoro. Dreamless è un disco si complesso, di non facile fruizione, ma anche un’opera in grado di regalare grandi momenti nella sua prima parte; purtroppo la poca varietà e qualche scivolone stilistico finisco per relegarlo nel calderone degli album discreti, senza infamia e senza lode. Ci aspettavamo un capolavoro dai Fallujah, capolavoro che non è arrivato e ci lasciamo con l’amaro in bocca, con la speranza di trovare la quadratura del cerchio nel prossimo lavoro. Peccato.

 

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