Recensione: Dreamy Reflections

Di Francesco Maraglino - 10 Settembre 2018 - 6:30
Dreamy Reflections
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2018
Nazione:
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70

“Dreamy Reflections” è il primo album per gli Orphan Skin Diseases, formazione italiana nata già tre anni fa per opera di Massimiliano Becagli, batterista dei No Remorse. Becagli quale ha unito le proprie forze con gente come Gabriele Di Caro (cantante già con Sabotage e Outlaw), il bassista Juri Costantino (ex Creation) e il chitarrista David Bongioanni (ex Virya) al quale si è infine unito, in parecchi brani, il secondo vocalist  Dimitri Bongioanni.
Il platter dimostra l’amore del combo per svariati generi afferenti al metal, comprovando così l’ eclettismo e la capacità di cimentarsi con spunti espressivi diversi dei musicisti.

Tra le canzoni che meglio esaltano le doti degli OSD, ecco dunque palesarsi Into A Sick Mind, dall’avvio drammatico ed oscuro e dal chorus più melodico e instillante energia, ma anche The Storm, anch’essa dai toni drammatici e tempestosi ma con ampli squarci melodici e, in questo caso, anche progressivi.
Si fa ascoltare con piacere anche Awake, veloce e maggiormente frizzante e lineare e accattivante.

Si accennava prima a spunti progressive. S’intravedono tali influenze nella lunga suite Just One More Day, suddivisa in tre parti: di esse, She Was (Intro) offre arpeggi spagnoleggianti e una voce espressiva, Fatherend è, invece, un lento melodico che però non emoziona come vorrebbe, She Was (Outro) torna, infine, a delicate atmosfere disegnate da arpeggi acustici ed elettrici e da un canto dolente.
L’emozionante Leave A Light On, ancora, è una ballata a due voci che può ricordare l’incedere di analoghe creazioni dei Dream Theater.

Certamente in qualche occasione il sound degli OSD appare meno inspirato, come in Rapriest (Stolen Innocence), un heavy rock con spunti moderni e persino vagamente nu-metal e cupe voci salmodianti che rappresenta un  ibrido non perfettamente a fuoco.

“Dreamy Reflections”, nel complesso, a dispetto di qualche momento lievemente prolisso, dimostra comunque una rilevante carica energetica (si veda Flyin’ Soul, dai riff ficcanti e massicci a sorreggere il chorus melodico e Do You Like This?, nella quale all’apertura acustica segue l’assalto di riff massicci e circolari e di una ritmica arrembante) ed una indubitabile passione per la storia  tanto del metal/rock classico quanto dell’ alternative metal, esibendo un  mood prevalentemente oscuro ma non scevro da aperture luminose e melodiche. La proposta degli OSD è, inoltre, fortemente caratterizzata dalle due voci che si alternano e dal loro gioco di canto e controcanti, peraltro alle prese con testi non banali e attinenti a tematiche politico-sociali.

Un esordio, dunque, più che positivo e che fa ben sperare per il futuro della band.

Francesco Maraglino

 

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