Recensione: Drottnar

Di Alessandro Marrone - 16 Aprile 2019 - 9:00
Monolith
Band: Drottnar
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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68

 

Statico. Se penso ad un monolite, il primo aggettivo che mi viene in mente è questo, mentre subito dopo immagino la sua imponenza e la sua impassibilità di fronte a tutto ciò che rappresenta il creato. I norvegesi Drottnar sono tornati sulle scene con il terzo album, che arriva peraltro a ben 7 anni di distanza dal precedente Stratum. Il trio, che di certo non intende farsi portabandiera del black metal più tradizionale e radicale, si presenta con un album dalle spiccate tendenze progressive, capace di accogliere nei suoi tre quarti d’ora di ascolto, elementi subito riconducibili all’industrial e persino a un sottogenere che negli ultimi anni ha davvero raccolto orde di adepti e meglio identificato come atmospheric black metal. Non aspettatevi suoni e ambientazioni selvagge però, perché quello dei Drottnar è un lavoro compatto e schierato verso una serie di tempi cadenzati e che si evolvono senza fretta apparente, spesso risultando quasi orfani di una variazione che avrebbe trasformato una buona canzone in qualcosa di più.

Non scordiamoci di lodare l’ottima produzione, in grado di valorizzare una sezione ritmica (basso e batteria) che aggiunge profondità e carattere anche a passaggi apparentemente semplici e scontati, mentre il tutto continua a suonare abbastanza underground da essere apprezzato anche dai fan più legati all’old school. Questo rappresenta proprio il punto di incontro nel sound stesso dei Drottnar, il quale l’esatto istante dopo appare quale punto di scontro, poiché il lavoro si dimostra coeso e omogeneo, senza però offrire un vero e proprio punto di riferimento, aspetto riscontrabile anche dopo ripetuti ascolti. Ci si sente quasi smarriti, ma senza una volontà ben precisa, dato che nessun brano è abbastanza consistente da riuscire in questa impresa. Ed allora comprendi che in realtà ti trovi in uno di quei casi in cui le aspettative erano forse troppo elevate e superate le prime due tracce (Funeral Of Funerals / Aphelion) che suonano dirette e melodiche, ci si addentra nel vero e proprio contesto sonoro di Monolith. L’arrivo di Subterranean Sun non fa altro che accrescere il nostro interesse, grazie ad un brano che mette in mostra il lato più progressive della band – basti notare il riff a metà pentagramma, davvero maestoso. Segue a ruota Axiom, che però mescola ancora una volta le carte in tavola, con l’introduzione di aspetti più industrial e atmosfere più cupe, che si distaccano di molto da quanto abbiamo appena attraversato con i primi minuti di ascolto. Fin qui tutto bene, ma il discorso è destinato a prendere una piega differente, abbracciando ritmiche più lente, strutture ripetitive e mantenere come unico denominatore comune, la vera mancanza di uno sviluppo capace di farci venir voglia di tornare sulle tracce stesse. 

 

Bisogna pazientare sino ad Antivolition al fine di permettere al songwriting di evolversi abbastanza e aggiungere quel pizzico di idee che i tre brani precedenti hanno clamorosamente lasciato per strada, mentre la title-track Monolith torna a unire partiture più elaborate e progressive, nonostante si guadagni un posto tra i brani chiave semplicemente per esclusione. Il disco si conclude con Eschaton, breve outro con Jason Sherlock alla voce, parte degli extra offerti dalla versione deluxe, insieme a 2 intro che non rappresentano nulla di trascendentale, non preoccupatevi. Come ho detto all’inizio della recensione, Monolith appare statico, la sua evoluzione da un brano all’altro è innegabile – del resto trattasi di brani pubblicati tra il 2017 e il 2018 attraverso tre diversi EP, con soltanto tre canzoni inedite (che però sono gli intermezzi e la stessa Eschaton). Nel caso non aveste avuto modo di ascoltare o acquistare i suddetti EP, potete benissimo dare una chance a Monolith, ma badate bene di non pensare di trovarvi di fronte a qualcosa di sconvolgente. I fan della band lo apprezzeranno senza ombra di dubbio e questo va benissimo, ma per quelli che sono alla ricerca di qualcosa di musicalmente ispirato, forse è meglio guardare altrove. La staticità di Monolith non è necessariamente da vedere come un difetto, tantomeno un errore della band, ma nella sua immobilità ha probabilmente perso l’occasione di creare un episodio più significativo di ciò che invece rappresenta per la maggior parte degli ascoltatori.

  

Brani chiave: Subterranean Sun / Axiom / Monolith

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