Recensione: Dysphoria

Di Francesco Sgrò - 23 Gennaio 2019 - 19:40
Dysphoria
Band: Starbreaker
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2019
Nazione:
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77

Nati inizialmente come un semplice progetto parallelo del vocalist Tony Harnell, durante il suo periodo nei T.N.T, i rockers statunitensi Starbreaker inaugurano il loro 2019, pubblicando per la Frontiers Music, il terzo album intitolato “Dysphoria”.
La spina dorsale della band è sempre costituita dalle figure del già menzionato Tony Harnell e del chitarrista (e tastierista), Magnus Karlsson (Primal Fear fra gli altri).
Le novità in seno alla Line Up della band riguardano invece la sezione ritmica: questo disco infatti sancisce l’esordio in studio con il gruppo del batterista Anders Köllerfors, arrivato a sostituire il ben più noto John Macaluso.

Con un comparto sonoro cristallino e potente (curato dall’ormai onnipresente Simone Mularoni), “Dysphoria” esplode con tutta l’energia e l’eleganza del miglior Heavy Rock con le note della spietata “Pure Evil”, contraddistinta dall’acuta ugola di Harnell e da un’ottima prova dell’intera band, in grado di scuotere l’ascoltatore fin dai primi istanti di musica: una partenza al fulmicotone.
Gli Starbreaker bilanciano perfettamente melodia e potenza anche nella seguente e più cadenzata “Wild Butterflies”, nella quale stupisce la performance vocale di Harnell, abile nel dare vita ad un coro evocativo e ricco di pathos.
Grazie al prezioso contributo della solida sezione ritmica, guidata dal duo Lightfoot/Köllerfors, l’estro compositivo di Harnell e Karlsson può esprimersi al meglio anche nella potente “Last December”, ancora caratterizzata da un ottimo refrain, suggestivo ed orecchiabile.
Subito dopo, la bella “How Many More Goodbyes” mette in luce l’anima più melodica del combo americano, che sembra voler strizzare l’occhio alle tipiche armonie ammiccanti dei gloriosi anni ’80.

La melodia regna quindi ancora incontrastata nella dolce “Beautiful One”, mentre poco dopo l’aria torna ad essere squarciata dal deciso Hard Rock della title track che, pur non aggiungendo novità al sound proposto dal gruppo, si rivela comunque un brano massiccio e ben strutturato.
La seguente “My Heart Belongs To You” mostra ancora un momento di grintosa emozione nelle trame musicali dell’album, che può procedere con la ugualmente piacevole “Fire Away”.
Sulla scia delle tracce precedenti, anche “Bright Star Blind Me” presenta un sound granitico  e convinto, il quale fa da preludio all’omaggio del combo a stelle e strisce ai padri Judas Priest, con l’esecuzione della classica “Starbreaker” (originariamente apparsa in “Sin After Sin” del 1977) che, in questa sede, determina la conclusione di un album ben confezionato e piacevole nel suo insieme.

 

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