Recensione: Earthshaker

Di Abbadon - 23 Luglio 2004 - 0:00
Earthshaker
Band: Y & T
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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85

Messo sul mercato nel 1981, “Earthshaker” è il terzo album in studio per i ragazzi di San Francisco, ma è come se fosse il primo, per diverse ragioni. Intanto è il primo lavoro degli Y&T negli anni 80, in secondo luogo è il primo prodotto con il nuovo monicker della band, visto che nei primi due lavori il quartetto si chiamava semplicemente “Yesterday and Today”, ma soprattutto Earthshaker è il primo lavoro della nuova vita del combo, che aveva seriamente rischiato di scomparire dopo che era stato lasciato a piedi dalla London Records. Fortunatamente, dopo 3 anni, gli Y&T furono raccolti dal marciapiede dalla A&M Records, che li rilanciò, per fortuna loro, sua, e di tutti noi. Lo scuotiterra è infatti, secondo una grande fetta di fans, semplicemente il miglior prodotto mai partorito da Meniketti e compagni (o quantomeno quello contenente il maggior numero di hits riproposte dal vivo), contrastato in parte solo dal successivo Black Tiger. Basta ascoltarlo una volta per capire che ci troviamo senza dubbio davanti ad un lavoro di non comune fattura. L’Heavy rock che si diffonde dalle casse dello stereo contenente questo roccioso platter è sicuramente fra i migliori che si possano sentire, un perfetto mix fra potenza, dettata da granitici riffs, e linee melodiche di buonissima caratura. Questo risultato è reso possibile dall’allora eccellente ispirazione di tutti e 4 i membri del gruppo, sia in fase compositiva che esecutiva, 4 capitanati dall’inossidabile (anche ora) leader Dave Meniketti (più che positivo anche dietro il microfono, dove non mostra esagerazioni ma un timbro pulito, squillante e nello stesso tempo diretto, tra l’altro anche ben supportato dalle backing vocals, quando serve) e dal funambolico bassista Philip Kennemore. Risalta subito alle orecchie il dominio dell’accoppiata chitarra/basso, ma sarebbe riduttivo fermarsi qui, in quanto anche il resto della band non scherza, a partire dal batterista Leonard Haze, che picchia sulle pelli con potenza e sicurezza, per arrivare al preciso lavoro dell’altro chitarrista Joey Alves, perfetto complemento del buon Dave. Tutto quello che ho appena detto si può tranquillamente già riscontrare nella quasi anthemica opener, dal titolo altrettanto anthemico di “Hungry for Rock”. Il riff iniziale spacca anche i sassi, e lancia questo mid tempo di granito su una vita che non può non far innamorare gli amanti dell’Hard and Heavy. Il cantato è coinvolgente e la musica, malgrado sia piuttosto ripetitiva, non annoia per nulla, culminando in un bell’assolo che combina le due chitarre (ritmica e solista) e il basso in una mix esplosivo. La seguente “Dirty Girl” viene introdotta da un un motivo che ricorda abbastanza quello di “Let me put my love into you” di Back in Black, album che probabilmente ha influenzato parecchio la band , visto che anche su “In Rock We Trust” una song ricorda molto una di BIB (NON sto parlando di plagi, sia chiaro, in quanto poi sono songs a sé stanti, per chi volesse sapere la canzone vada a leggere la rece dello stesso In Rock We Trust). Tolti intro e riff, comunque più elaborato di quello degli Ac/Dc, abbiamo anche qui un buon mid tempo, altrettanto duro anche se meno dinamico del precedente, mid tempo che esalta in maniera incredibile la chitarra ritmica, che conduce la canzone perfettamente sui suoi binari. Molto carino anche il refrain, anche questo però meno esaltante del precedente. Un totale cambio di ritmo lo si ha su “Shake it Loose” pezzo che sembra quasi un Rock’n’Roll estremizzato nella potenza sonora. Da segnalare stavolta un grande lavoro di Kennemore e Haze, in grado di tenere perfettamente un ritmo indiavolato, e un assolo sì al fulmicotone ma pulitissimo ed estremamente vecchio stile, bello. Quarto componimento e quarto mattone piazzato benissimo con “Squeeze”, che parte sulle stesse direttive del brano precedente, chiusosi nel frattempo con un apprezzabile fade out. Traccia a dir poco esplosiva, e senza dubbio fra le migliori del disco, Squeeze viene caratterizzata, in principio, da un gran bell’assolo di chitarra, che fa da preludio al dominio totale di un indiavolato, ancora, Phil Kennemore, che riesce a far capire subito chi comanda in questa traccia. Il resto lo fanno la chitarra elettrica, un grande supporto dietro le pelli e una voce a dir poco aggressiva ed urlante. Magnifiche nel loro scorrere anche tutte le parti puramente strumentali. Squeeze sarebbe la miglior traccia di Earthshaker se il disco si chiudesse qui, ma purtroppo per lei è seguita da una canzone che getterebbe pesanti ombre su qualunque altra degli Y&T. Sto parlando di “Rescue Me”, probabilmente il maggior classico del combo statunitense. Aperta a mò di ballata,  con un arpeggio e un assolo dolcissimi, Rescue me esplode poi in tutto il suo fragore, regalando un riff spettacolare e roccioso, una prova dietro il microfono di tutto rispetto, un assolo centrale magico e quant’altro ci si aspetta da un pezzo simbolo. Già, perché probabilmente “Rescue Me” E’ il pezzo simbolo degli Y&T, lo so che potrebbe sembrare un commento offensivo verso altri grandissimi lavori come “Open Fire”, “Black Tiger”, “Mean Streak”, ma non credo proprio sia un caso che sia questa, praticamente da sempre, la closer di tutti i concerti della band. Andiamo avanti, per trovarci davanti all’ennesima buonissima track, “Young and Tough”. Gli ingredienti sono sempre gli stessi, velocità non altissima ma sound che attrae a dir poco, perfetta fusione di tutti gli strumenti, e ritmo a dir poco coinvolgente e trascinante. Compositivamente siamo nella media, senza dubbio, però tante volte secondo me è più bello un pezzo “facile” che fa saltare dalla sedia rispetto a uno ipercomplicato che… vabbè lasciamo perdere, sono gusti. Dopo questo piacevole intermezzo, nelle nostre orecchie inizia a sentirsi un vero e proprio terremoto, anzi un uragano. E’, ovviamente l’inizio di “Hurricane”, l’ennesimo classicissimo, una scarica elettrica nelle orecchie dell’ascoltatore. Il basso è onnipresente, e martella senza pietà lungo le splendide strofe e il curioso refrain. Il cantato è forse il più vario fra quelli proposti (si passa in scioltezza da tonalità basse a urla) e… che altro dire… batteria, chitarre…assolo combinato che ti sotterra, un uragano! Parziale rifornimento di fiato sulle note di “Let me Go”, ma appunto parziale, visto che comunque la voglia di far saltare non manca neppure qui. Ennesima canzone semplice (non è un deterrente, come già spiegato), di velocità media (che come avrete capito su Earthshaker è lo stilema dominante) e dal tempo estremamente ben candenzato, Let Me Go emerge soprattutto per il refrain, semplice ma d’impatto, e dal solito perfetto assolo. Quindi tutti argomenti già sentiti e descritti in precedenza, che però non fanno altro che solidificare un disco già d’acciaio. Uno spettacolare basso ci porta direttamente nel cuore dell’esplosiva e iperdinamica “Knock you Out”. Meniketti qui ricorda, ovviamente con le dovute proporzioni, lo stile vocale dei migliori cantanti settantiani, il che è tutto tranne che un male, e interpreta alla perfezione l’ennesimo maremoto di heavy rock, maremoto che però si chiude qui. Infatti la chiusura di Earthshaker viene affidata alla splendida, “I Believe in You”, stupenda power ballad (alla fine velocizzata) che alterna una grandiosa melodia in sede di strofa (bellissimo arpeggio) e di assolo alla dolce rocciosità del refrain, un vero e proprio inno. Finalmente il disco è finito, e posso in scioltezza riaffermare che questo Earthshaker è il capolavoro degli Y&T, band da me considerata una delle massime espressioni di Hard’n’Heavy melodico mai prodotta dagli USA. Riscoprite questa band, perché c’è davvero di che godere. Ah, ho detto finalmente solo perchè ora posso riascoltarmi il disco da capo.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Hungry for Rock
2) Dirty Girl
3) Shake it Loose
4) Squeeze
5) Rescue Me
6) Young and Tough
7) Hurricane
8) Let me Go
9) Knock You Out
10) I Believe in You

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