Recensione: Echoes From The Deep

Di Damiano Fiamin - 11 Gennaio 2013 - 0:00
Echoes From The Deep
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2012
Nazione:
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69

Per un gruppo è sempre una grande soddisfazione quando si riesce a tagliare il primo traguardo importante: quello dell’esordio discografico. Il primo passo in un sentiero che tutti si augurano sia più lungo possibile. Oggi, raggiungono questa importante meta i bresciani Psycho Praxis che, con questo Echoes From The Deep, pongono le fondamenta per il loro futuro.
Che cosa offre il quintetto alla scena musicale nostrana? Con quale strategia i nostri si fanno avanti e cercano di distinguersi dalle altre centinaia di band che, ogni anno, fanno capolino sul mercato discografico? Innanzitutto, cerchiamo di circoscrivere la proposta di questi ragazzi: vi fanno venire in mente nulla flauti e tastiere? Nella mente di chi scrive, il binomio ha come unica conseguenza possibile il progressive rock degli anni ’70, King Crimson, Banco del Mutuo Soccorso e, soprattutto, Jethro Tull. Tenete bene a mente il gruppo di Ian Anderson e compagni, poiché ha un ruolo fondamentale nella genesi sonora di questo album.

La surreale copertina del CD funge da antipasto per sei tracce di puro progressive rock a tinte scure, in cui dominano gli elementi del dittico esposto nell’introduzione: tastiera e flauto si accompagnano elegantemente agli strumenti a corda, mentre la batteria di Tognazzi scandisce implacabilmente il tempo. Le sonorità che fluiscono dalle casse dello stereo sono davvero vecchio stampo, un tuffo nel passato che non mancherà di intrigare gli appassionati di quei gruppi che sono già stati nominati nell’introduzione. Con l’eccezione della prima traccia, più frenetica e acida, tutti i brani si inseriscono lungo i binari della Storia, facendo propria la gloriosa lezione che, oltre quarant’anni fa, i Numi del progressive britannico diffondevano per il mondo.
Alcuni, a questo punto, staranno già storcendo il naso, domandandosi se non ci troviamo di fronte all’ennesimo prodotto fotocopia, una sterile imitazione del passato che cerca di farsi largo sfruttando la celebrità altrui. Ebbene, tranquillizzatevi. Sebbene gli Psycho Praxis seguano i passi dei giganti, non si nascondo certo sotto la loro ombra; nella maggior parte dei casi, il quintetto riesce a sviluppare le sonorità secondo uno stile personale che prende i crismi più canonici del progressive e, pur non stravolgendoli, riesce ad attualizzarli, rendendoli coerenti con la realtà in cui vengono espressi. Se non ci credete, ascoltatevi pure P.S.M.: la canzone sembra un brano che potrebbe essere stato scritto dai Jethro Tull di Songs from the Wood, ma viene suonata in maniera più moderna, creando una buona alchimia tra passato e presente.

Un esordio folgorante, dunque, tutto rose e fiori? Purtroppo, c’è qualche nuvola scura che si leva all’orizzonte per macchiare questo debutto. Sebbene i musicisti siano convincenti e, nella maggior parte dei casi riescano a profondersi in delle armonie efficaci, tendono a volte a impelagarsi in costruzioni musicali un po’ forzate che perdono di originalità. Nella versione da me ascoltata, inoltre, la produzione dell’album, complessivamente di buon livello, tende un po’ a disperdersi nelle tonalità più alte. Infine, nonostante non sia sicuro che si possa considerare un difetto, ritengo necessario sottolineare come Calzoni prenda decisamente troppo a modello Anderson per il suo stile di canto; nulla di male, per carità, ma a volte sembra quasi che stia studiando per diventare un imitatore del cantante britannico.
Piccole cose che certo scalfiscono il risultato complessivo, ma il quadro complessivo rimane sicuramente più che buono. Echoes From The Deep è un ottimo biglietto da visita per questi ragazzi. Se davvero chi ben comincia è a metà dell’opera, sono sicuro che i cinque arriveranno presto a traguardi ancora più soddisfacenti. C’è ancora qualche asperità da smussare e qualche cosa su cui lavorare, ovviamente, ma le premesse sono decisamente buone! Vediamo un po’ cosa ci riserverà il futuro…

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracce:
1.    Priviliged Station
2.    P.S.M.
3.    Hoodlums
4.    Black Crow
5.    Awareness
6.    Noon

Formazione:
Andrea Calzoni: Voce – flauto
Paolo Vacchelli: Chitarra
Paolo Tognazzi: Tastiera
Matteo Marini: Basso
Matteo Tognazzi: Batteria
 

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