Recensione: Echolyn

Di Federico Reale - 16 Ottobre 2012 - 0:00
Echolyn
Band: Echolyn
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2012
Nazione:
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90

Noti come alfieri del Progressive Rock a stelle e strisce degli anni ’90, tornano sul mercato con un nuovo doppio album omonimo gli Echolyn, dopo una lunghissima pausa durata ben sette anni, tanti quanti ne sono passati dalla pubblicazione dello strepitoso “The End Is Beautiful”, uno dei vertici massimi del Rock progressivo moderno.

C’è da dire che in oltre vent’anni gli Echolyn hanno attraversato diverse fasi; dagli inizi più orientati verso il Neo-Prog dell’esordio (anch’esso omonimo) e del capolavoro giovanile ”Suffocating the Bloom” si è arrivati alla follia pura di ”As the World”, che non a caso ha fatto conquistare alla band l’appellativo di Gentle Giant dei ’90, passando per l’ispirazione divina che li ha colpiti durante la registrazione del gigante da 50 minuti ”Mei” ed ancora per le soluzioni più funkeggianti del già citato ”The End Is Beautiful”.
Questo nuovo lavoro dimostra però una maturità che gli Echolyn non avevano mai raggiunto prima d’ora. Via la schizofrenia delle muse ispiratrici Gentle Giant, in favore di un approccio più “adulto” che vede Beatles, Radiohead e Pink Floyd come protagonisti, senza dimenticare un piacevolissimo retrogusto Post-Rock che accompagna quasi tutte le composizioni e che si erge come marchio di fabbrica assoluto dei nuovi Echolyn. Degno dei migliori applausi anche il lavoro del chitarrista (e all’occorrenza cantante) Brett Kull come produttore, capace di creare un impasto di suoni caldo, profondo, anche confortante verrebbe da dire, forse il principale fattore nell’unicità del quintetto.

Gli Echolyn decidono di mettere in apertura il pezzo più lungo ed ambizioso del lotto, e con “Island” dimostrano tutto il loro potenziale: dopo un’introduzione di circa tre minuti che punta maggiormente (ed insolitamente, per gli standard di questo album) sulla tecnica prima dell’ingresso della voce inconfondibile di Ray Weston, il brano si distingue grazie a orchestrazioni magniloquenti ed interventi di chitarra tanto misurati quanto efficaci che vanno a costituire un climax emozionale che sfocia in un coro solenne da lacrime agli occhi, intervallato da una splendida e trionfale melodia di tastiera. Di natura completamente diversa la successiva “Headright”, canzone dalla durata di tre minuti scarsi più allegra ed energica, nonostante dopo qualche ascolto emerga una certa malinconia celata nelle sue note, che strizza l’occhio ben più di una volta al Pop inglese. Assolutamente da brividi l’accelerazione nel finale. In “Locust to Betlehem” le influenze Post-Rock di cui si parlava all’inizio si fanno strada per la prima volta, e ne scaturisce una composizione dolcemente sonnolenta ed ipnotica costellata ogni tanto da alcuni inserti di archi, anch’essi elementi ricorrenti all’interno di questo album, mentre “Some Memorial” è uno dei pochi pezzi a fare da ponte con i vecchi Echolyn, in quanto presenta a sprazzi un approccio più vicino all’Hard Prog sinfonico dei già pluricitati Gentle Giant, alternato a soluzioni tastieristiche tipiche dei Camel più rilassati e soprattutto a brevissimi spezzoni di chitarra che farebbero commuovere i Beardfish più romantici ed intimisti. Elementi che ribadiscono per l’ennesima volta lo straordinario gusto melodico di Brett Kull, mai invadente ma sempre capace di graffiare, di penetrare nel profondo dell’anima con armonie semplicissime.

Ma è forse la traccia di apertura del secondo CD che rappresenta il vertice qui raggiunto dagli Echolyn: “Past Gravity” è una delicata e nostalgica composizione, in cui sono evidenti le influenze Pinkfloydiane, che parte con toni soffusi per poi rinvigorirsi col passare dei minuti fino alla tempesta emotiva che travolge l’ascoltatore nel finale, per poi ritornare a ritmi più blandi. Qui troviamo la voce calda ed avvolgente di Kull a destreggiarsi con enorme padronanza ed intensità tra le melodie magnetiche ed intorpidite da lui stesso disegnate con la sua chitarra. “When Sunday Spills” tratta il tema delle liti domestiche, ed è inutile dire che stiamo parlando dell’ennesimo sfoggio della grande classe di cui sono dotati i cinque di Lansdale, ed è in particolare ottima la prova di Chris Buzby, autore di alcuni passaggi tastieristici deliziosamente aggraziati; all’inizio ed alla fine sono presenti registrazioni di litigi coniugali, che vanno poi a confluire nella straziante dolcezza di “Speaking in Lampblack”, che, piena di trame sognanti e leggiadre, va a situarsi tra i Porcupine Tree e gli Anathema più recenti, prima di svilupparsi in un intreccio di tastiere e chitarre da pelle d’oca. Uno di quei pezzi che riesce realmente ad entrare nella carne di chi l’ascolta, di sviscerare la sua anima per poi toccarne delicatamente le corde; pochissimi artisti sono in grado di fare cose simili con una naturalezza quasi sconcertante, e gli Echolyn sono tra questi.
Chiude “The Cardinal and I”, caratterizzata da trame suggestive e dotata nel finale di una pesantezza finora inedita e reminescente di quanto fatto in passato dal gruppo.

Probabilmente non c’è bisogno di aggiungere altro, ma nel caso non si fosse capito ”Echolyn” è un disco sensazionale, testimone del favoloso stato di salute che sta attraversando il Progressive Rock negli ultimi anni. Ovviamente si tratta di un serio candidato al titolo di disco dell’anno, se non addirittura del nuovo millennio. Se amate il genere, ma anche più semplicemente ogni tipo di musica che sappia donare emozioni fortissime, non indugiate e fatelo vostro senza pensarci due volte.

Federico “Federico95” Reale

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Tracklist:

CD 1:

01 Island
02 Headright
03 Locust to Betlehem
04 Some Memorial

CD 2:

05 Past Gravity
06 When Sunday Spills
07 Speaking in Lampblack
08 The Cardinal and I

Line-up:

Ray Weston: vocals (tracks 1, 2, 3, 4, 6, 8)
Brett Kull: vocals (tracks 5, 7), guitar
Christopher Buzby: keyboards
Paul Ramsey: drums
Thomas Hyatt: bass

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