Recensione: Edge Of The Abyss

Di Giuseppe Casafina - 14 Settembre 2016 - 14:24
Edge of the Abyss
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Fino ad oggi, il mondo del death metal è stato tendenzialmente atipico verso progetti e collaborazioni basate sul nome proprio (sulla falsariga di improbabili accoppiamenti in stile Romina & Albano per intenderci), ma spesso tutto tende a sorprenderci: ed è con quest’ottica che la collaborazione tra Paul Speckmann (leggenda indiscussa del death metal, figura leader dei Master e chissà di quanta altra roba) e lo svedese Roger ‘Rogga’ Johansson (Paganizer e tanta altra roba anche lui), fantasiosamente intitolata Johansson & Speckmann, si rivela doppiamente sorprendente.

Perchè, oltre all’anomalia rappresentata dal nome stesso con qui questo progetto si presenta al pubblico di noi spararutti lungocriniti (….per chi ha i capelli, sigh! Air guitar per tutti gli altri….), basti pensare che questa è la terza release pubblicata sotto questo monicker nonostante il progetto esista solamente dal 2013, segno che l’accoppiata funziona particolarmente bene e che finora ha sempre rilasciato buoni tasselli discografici: nessun capolavoro per intenderci, come capolavoro non lo è anche quest’ultimo “Edge Of The Abyss” come preannunciato in assoluta onestà dallo stesso Speckmann mesi orsono, bensì tre riuscitissimi platter la cui unica intenzione è riversare nelle orecchie ascoltatori un sano ed efficace death metal, basato sui riff robusti del chitarrista svedese e sul growl inimitabile del vocalist americano (oggi Ceco naturalizzato per via della nuova formazione europea dei Master).

La miscela tra i due mastermind funziona senza conflitti, rendendo il tutto assolutamente differente dai risultati di entrambe le band di origine in quanto “Edge Of The Abyss” non suona come un disco dei Master, così come non suona come un tipico disco dei Paganizerr.

La produzione conferita al suono del disco, volutamente moderna e vagamente simile a quella sfoderata nell’ultimo disco dei Master (qui la recensione), si rivela consona e per nostra fortuna mai troppo pulita: pare infatti che i Nostri abbiano infatti preferito lasciare un velo di ‘sporcizia’ sui riff di chitarra, una sana mediosità che conferisce al tutto una morbosa aura vecchio stampo.

Sul lato del songwriting abbiamo a che fare con brani spaccaossa tanto semplici quanto efficaci, di breve e media durata, che come un trapano ficcano con prepotenza i loro ritmi martellanti nell’interno nelle nostre menti: momenti più ‘thrashy’ si uniscono ad altri in stile più spiccatamente classic death metal sempre carichi di quel groove caro al buon Paul, il tutto nel segno di un suono devoto in tutto e per tutto alla vecchia scuola del Metallo della Morte, senza dimenticare di inserire qualche vera e propria mazzata nelle gengive tra un brano e l’altro. Il trittico costituito da brani come ‘The Last Witness Is Barely Live’, ‘The One They All Despised’ e la title-track è, infatti, una furia iconoclasta perfettamente controllata in grado di distruggere con convinzione gran parte delle proposte attuali a tratti solo monocorde (spesso preoccupante sintomo di una certa mancanza di ispirazione reale di fondo), a tratti rigorosamente false (conseguenza diretta di quanto scritta prima).

Questo terzo platter a nome Johansson & Speckmann personalmente potrei dire che convince ancora di più dei propri predecessori: siamo infatti al cospetto di un disco vario, ispirato, che non cala mai la tensione nel songwriting e che per l’occasione sfodera anche una varietà stilistica non da poco, tanto che ogni brano non assomiglia mai ad un altro, nonostante un certo impianto di fondo saldamente ancorato su basi di matrice thrash. Ed è così che, ascolto dopo ascolto, fuoriusciranno alla grande i tratti salienti di ogni singolo episodio, come il magma acido di ‘Misanthropy’ oppure il modernismo mai troppo sulle righe dell’iniziale ‘Perpetuate The Lie’.

Vero quanto affermato da Speckmann quindi, cioè che il platter è tutt’altro che un capolavoro quanto più ‘solamente’ un buon disco: eppure, questa volta, potrei anche azzardare l’idea che forse il buon Paul abbia un pelino sottovalutato le reali potenzialità espresse, appieno, della sua ultima fatica discografica in ordine temporale fino ad oggi, una fatica ovviamente solo per fanatici del death sia chiaro, ma statene certi….quei fanatici avranno di che godere!

Ben più che solamente buono e convincente, quanto piuttosto ottimamente concepito ed eseguito: tecnicamente saremo sul tipico 75 ‘di rito’ ma per una volta tanto, lo ammetto, è bello abbandonarsi nel premiare siffatte doti di onestà e convinzione, presenti ad un livello da cui molte nuove leve di oggi avrebbero solo da imparare.

E che ottimo voto sia.

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